di Elena Bilotta

Ma perché ci sono i fazzolettini sulla sua scrivania? Qualcuno piange mai qui oppure è lei che è raffreddata?”, mi dice appena sedutosi, guardando sempre con fare sempre un po’ schifato il mio piano di lavoro. “Sa cosa dice il mio Grande Capo? Che la bravura di un terapeuta si misura nella quantità dei fazzolettini che riesce a far consumare”, rispondo io, ed è vero, è proprio quello che ci ripete sempre nel corso delle riunioni cliniche di supervisione. “Beh allora mi sa che con me lei sta messa male, non so più quand’è l’ultima volta che ho pianto”. Si può essere profondamente depressi e non piangere? Assolutamente sì, e a volte a me non sembra un buon segno. Indica distacco, e il distacco è tanto difficile da trattare quanto radicato nella persona.

Non si piange, dunque, ma neanche si ride. Si rimane in un clima di test e valutazione che la persona davanti a me mette in atto sicuramente senza accorgersene. “Non capisco perché tutti dicono che sono aggressivo e scostante” aveva detto nella scorsa seduta; ecco, probabilmente non si rende conto dell’effetto interpersonale che fa, e su questo è assolutamente autentico.

La scorsa seduta si è conclusa con pochi contenuti ma con tante sensazioni interpersonali di sospettosità, paura, caos e urgenza. Non ero sicura che tornasse oggi, ma evidentemente questo paziente non è sempre prevedibile, almeno per me. “Comunque l’altra volta sono uscito da qui che stavo peggio di prima. Ma la psicoterapia non dovrebbe fare bene?”. Non so se è una provocazione, ma non credo; lui ha probabilmente la teoria naïve che la psicoterapia possa funzionare un po’ come una bacchetta magica, e che il terapeuta, con qualche parola o strategia da mago riesca a far smettere di soffrire. Lungi da me l’intenzione di ridicolizzare questo tipo di aspettativa: nella mia esperienza va letta come indicatore di impotenza e scarsa agentività. In altre parole, la persona è convinta di non poter agire su di sé e sul suo malessere in nessun modo, per questo rimane in attesa di un intervento esterno risolutivo e immediato. Purtroppo però io non ho una bacchetta magica, né conosco rituali che possano velocizzare il processo terapeutico.

Se la scorsa volta pensavo che sarebbe stata dura, oggi ne sono un po’ più convinta. Mi pervade una brutta sensazione di star perdendo tempo, ma mi chiedo se anziché essere mia non sia invece quella del mio paziente, che ha uno sguardo che sembra dire: “insomma, che famo?”. Provando a tollerare questa sensazione, chedo cosa è successo dopo la seduta dell’altra volta.

Boh, niente. Sono uscito e avevo un peso al petto, pensavo invece che sarei stato meglio. Quindi ho pensato che neanche questa cosa mi serviva”. “E cosa ha provato quando ha fatto questo pensiero?”, chiedo io. “E che ne so, mi sono incazzato, a ‘sto punto era meglio spendere sti soldi a cena fuori”. “Immagino sia stata dura per lei tornare qui oggi allora, dopo le sensazioni provate”. “Bah, no, tanto è uguale, però glielo dico: se vedo che non funziona me ne vado”. Con queste parole il paziente mi fa provare una delle sensazioni più difficili per me da gestire: un misto di impotenza e urgenza che mi irrita, ma che prima di irritarmi mi spaventa un po’. Non è bello sentirsi impotenti e in pericolo: è proprio così che si sente lui, ma la paura sul suo volto e nel suo modo di fare non appare affatto, camuffata da un po’ di arroganza e disprezzo. Il fatto di delegare al terapeuta la soluzione dei problemi è però un problema da mettere in chiaro subito, perché trascende l’empirismo collaborativo che è alla base di ogni processo terapeutico efficace. “Io non posso trovare soluzioni per lei: è lei il miglior esperto di se stesso e qui dobbiamo lavorare insieme per capire il suo problema, ancora prima di poter trovare una soluzione adatta a risolverlo”. “È come dire di voler aggiustare, non so, una lavastoviglie, senza prima capire cosa è che non funziona. Come posso intervenire bene senza capire cosa si è rotto?” Forse questa metafora non gli è piaciuta, sembra aver fatto la faccia ancora più schifata. Stavolta però non ha tutti i torti.

 

Continua…