di Manuel Petrucci

Il giovane medico Max McCandles non ha idea di cosa stia per incontrare quando accetta con entusiasmo e lusinga l’invito del celebre chirurgo Godwin Baxter a recarsi presso la sua abitazione. Gli viene proposto un compito alquanto peculiare: osservatore scientifico dei progressi di un esperimento senza precedenti avviato da Baxter. Tale esperimento ha un nome, ma non è quello che ci aspetteremmo da un progetto di ricerca: è Bella Baxter, figlia di Godwin. Va bene, forse da Jean Piaget potevamo aspettarcelo, ve lo concedo.

Pur avendo le fattezze di una donna adulta, il comportamento di Bella è in tutto e per tutto analogo a quello di un neonato. Il mistero è presto svelato: Baxter, o Baxterstein, come sarebbe più opportuno ribattezzarlo, ha rinvenuto nel Tamigi il corpo di una donna incinta che si era da poco suicidata, e lo ha riportato alla vita impiantandole il cervello del figlio defunto con lei. Quella dello scienziato in grado di generare una rinascita è forse una metafora forte per descrivere il percorso della psicoterapia, ma non per le aspirazioni di chi si rivolge ad essa: la richiesta è sempre di rottura, di libertà da una forma di oppressione, che ad un primo livello è rappresentata dai sintomi, ma ad un livello più sostanziale prende la forma delle visioni negative che nel tempo si sono consolidate su se stessi, sugli altri e sul mondo intero. È compito del terapeuta quello di dare voce a ciò che è rimasto inespresso, inibito, incompreso, di utilizzare il potere della conoscenza al servizio della creatività, laddove gli eventi hanno creato rigide e cupe ripetitività. Nella seconda vita che in modo inatteso le è stata donata, Bella avrà la possibilità di venire a capo dei problemi ai quali aveva cercato tragicamente soluzione attraverso la morte.

Non senza imbarazzi e difficoltà, Max segue giorno per giorno lo sviluppo di Bella, che gradualmente raffina la coordinazione, il linguaggio, e…l’autoerotismo. Non trascorrerà molto tempo prima che venga inscenato uno tra i più atavici tra i conflitti umani: quello tra attaccamento ed esplorazione, tra dipendenza e autonomia, tra obbedienza e ribellione. Questo scontro vitale, aspro, talvolta violento, si verificherà in tre punti cruciali della storia. Il primo è quando Bella inizia a desiderare di varcare i confini di casa propria, per conoscere cosa c’è fuori. Si inerpica sul tetto per ammirare gli scorci di città circostanti, ma non può bastare: deve uscire fisicamente. Le sue richieste si fanno più insistenti, e incontrano il divieto di Papà-God, che vorrebbe tenerla (tenersi?) al riparo, e darla in sposa al buon Max, che nel frattempo ha sviluppato dei sentimenti per Bella. Lei accetta, ma viene sedotta dall’avvocato incaricato di redigere gli accordi matrimoniali, Duncan Wedderburn, che la corteggia e la affascina con una proposta di viaggio in giro per l’Europa che per lei, in questa fase della vita, è semplicemente irresistibile.

Dopo aver oscillato invano tra tentativi assertivi di far valere le sue ragioni e scoppi d’ira che avrebbero fatto impallidire anche il più navigato esorcista, Bella trova finalmente uno strumento di persuasione efficace: il cloroformio. Stecchito il fidanzato, e incassata la rassegnata approvazione di God, Bella (o Eva 2.0) inizia il suo viaggio verso Lisbona con Duncan. In un’estasi di meraviglia e scoperta, la realtà sensoriale si accende di colori, sapori e piaceri da cui Bella attinge avidamente. Il suo sornione e compiaciuto compagno di viaggio è convinto di aver messo in atto un piano geniale, e di poterla manipolare a suo piacimento: si spinge persino a raccomandarle di non innamorarsi di lui! Ma accadrà esattamente il contrario, e fin dalle prime uscite solitarie di Bella in giro per la città appare chiaro che è tutt’altro che soggiogata. Anzi, matura un sincero risentimento verso Duncan man mano che lui diventa controllante, punitivo e coercitivo, in maniera tanto manifesta quanto inutile. Bella non rispetta la sua volontà né le maniere della “buona società”, e quando ci prova seguendo le istruzioni di Duncan gli esiti sono assurdi ed esilaranti. Non è forse un’assurdità cercare di plasmare una persona secondo un criterio di adeguatezza o giustizia? Eppure innumerevoli sacerdoti, ideologi, pedagoghi e genitori in ogni tempo si sono impegnati in questa scellerata impresa, della quale forse un solo termine coglie l’essenza: abuso. Il ridicolo, come un liquido di contrasto, rivela in maniera ancora più vivida la natura abusante e insensata di ciò che viene ordinato di fare a Bella, o che la si costringe a fare. In un’escalation di disperazione e violenza, Duncan arriverà a rapirla, portandola su una nave da crociera.

Come spesso accade, chi decide di fare psicoterapia ha, all’interno della famiglia, un ruolo privilegiato e maledetto allo stesso tempo: quello di chi vede le cose, e le vuole cambiare. Ed è così che la disadattata, la guasta e strana Bella si ritrova a provare costernazione di fronte allo spettacolo della morte e della miseria a cui assiste ad Alessandria, mentre tutti quelli intorno a lei non battono ciglio. Con accorata ingenuità proverà anche a dare il suo contributo per quelle persone, ma sarà ingannata dall’equipaggio della nave, e si ritroverà a dover cercare un modo di sopravvivere a Parigi, completamente da sola, dopo che Duncan, prosciugato delle sue finanze e della sua salute mentale, fuggirà via. Anche nel bordello dove lavorerà come prostituta per mantenersi, Bella lotterà per il diritto di scelta, con nuovi strumenti filosofici e politici che nel frattempo ha acquisito, dimostrando, semmai ce ne fosse stato il bisogno, che il suo anticonformismo non era una mera oppositività infantile. Com’è lontano il tempo in cui a malapena riusciva a deambulare e ad articolare dei suoni! È un tempo che neanche il ritorno a Londra, a causa della malattia terminale di God, può ovviamente ricreare. Bella è cambiata. O forse è più che mai se stessa? Troverà anche Max ad attenderla: con la forza del rispetto e dell’ascolto, riuscirà a superare la dura accettazione dell’abbandono subito e delle molteplici avventure che Bella ha vissuto senza di lui, persino le sue incursioni nella sessualità e nel degrado, e a dimostrarle un sentimento autentico e delicato di amore.

Proprio quando tutto sembra avviato verso un lieto fine, il passato, o meglio, la precedente esistenza di Bella irrompe con prepotenza, squarciando il presente e le rosee prospettive future in un solo colpo. Con una scelta apparentemente irrazionale, Bella decide di seguire il suo vecchio marito. Come i Sette Fortunati in IT di Stephen King, laddove ogni buon senso suggerirebbe una strenua difesa o fuga, decide di recarsi nella tana del Mostro. Esiste forse un altro modo di liberarsene? La ricostruzione della propria storia di vita, e dell’eredità che ne è derivata, è un processo fondamentale del percorso di psicoterapia. Il motivo principale per cui è necessario tornare indietro nel tempo, anche attraverso la rievocazione delle memorie, è che pur ricordando il passato, spesso non lo conosciamo. Non ricordiamo davvero le atmosfere, i fatti, e come ci siamo sentiti in quelle occasioni, ma siamo accompagnati soltanto dalle spiegazioni, spesso velenose perché umilianti e colpevolizzanti, che ne abbiamo tratto. Andiamo avanti, senza accorgerci di andare in cerchio. E così Bella, immersa completamente nella sua precedente condizione, fatta di privazioni, disprezzo, vuoto e violenza, realizza i motivi che l’avevano spinta al suicidio. Ma se tutto è orribilmente uguale a come lo aveva lasciato, è lei a non essere più la stessa: con straordinario coraggio e intelligenza riuscirà a salvarsi e a trovare serenità, riconciliandosi con l’eredità del Padre e con Max, e dedicando persino una vendetta deliziosamente beffarda al suo ex marito-aguzzino. Sì, avete ragione: non è tecnicamente e politicamente corretto annoverare quest’ultimo elemento tra i risultati desiderabili di un percorso terapeutico. Guarda cosa mi fai scrivere, Bella Baxter!