di Erica Pugliese

You è una serie televisiva statunitense distribuita in Italia da Netflix basata sui libri “You” e “Hidden Bodies” di Caroline Kepnes. Il controverso personaggio di Joe Goldberg (Penn Badgley) nei panni di un sociopatico, stalker e serial killer che sviluppa rapporti patologici con le donne porta finalmente negli schermi una nuova generazione di pseudo-stalker che merita la pena essere approfondita. Sebbene, non tutti gli stalker per fortuna seguono la scia cruenta tracciata da Joe per conquistare l’amore tossico delle sue vittime, non possiamo esimerci dall’osservare che ormai sempre più spesso ci ritroviamo nella pratica clinica pazienti ossessionati, che molestano le loro vittime nascondendosi dietro account fake attraverso la lente dei social media con la perizia scientifica di CSI e l’astuzia di un moderno 007. Sono finiti i tempi delle lettere anonime con le minacce o delle rose secche senza bigliettino, lo pseudo-stalker cerca di mantenere all’esterno l’immagine della brava persona e non si avvale più degli obsoleti classici appostamenti sotto casa. Anche se consapevole della devianza comportamentale e dell’invasione della privacy – è sempre pronto/a a giustificare ogni malefatta in onore di quello che considera “amore” e con lo scopo superiore di salvare la vittima designata, il più delle volte del tutto ignara di aver incontrato uno stalker versione 3.0. Come tutti gli stalker, la sua versione avanzata tecnologicamente, pensa di meritare quell’amore sotto il diktat omnia amor vincit, l’amore che vince a tutti i costi, soprattutto quelli dell’altro. Ma chi è lo STALKER dal punto di vista psicologico? Trattandosi di un fenomeno eterogeneo non è possibile identificare un modello tipico di condotta né tanto meno è possibile profilare alla perfezione uno stalker. I dati statistici aiutano tuttavia ad avere un’idea del profilo che più comunemente assume atteggiamenti e comportamenti da stalker. Nell’80% dei casi si tratta di uomini, quasi sempre ex partner o partner della vittima; in altri casi si tratta di vicini di casa, colleghi di lavoro, amici o semplici conoscenti. A differenza di quello che sarebbe facile pensare non sempre il molestatore è un soggetto con precedenti penali, dipendente da droghe/alcol o affetto da disturbi mentali. Quello che è sicuramente possibile affermare grazie all’osservazione clinica è che trattasi di personalità con un problema di dipendenza affettiva patologica a causa della quale tendono a mettere in azione una serie di comportamenti persecutori e reiterati come minacce, molestie e atti lesivi che provocano nella vittima paura e stati d’ansia. Caratteristica d’elezione di questo tipo di disagio è la tendenza, quando lo scopo della dipendenza relazionale è minacciato o non è possibile soddisfarlo – per esempio, quando il bersaglio non è interessato o ha perso interesse o non sa neanche di esserlo – a ricercare nuovamente la relazione o comunque il controllo o un contatto di qualsiasi tipo (nel caso dello stalker 3.0 con ricerche ossessive su internet e i vari social network) al fine di ridurre lo stress emotivo e l’angoscia che prova, sentimenti ancora più intollerabili del malessere generato dalla relazione stessa, disfunzionale per definizione. Il suo delirio, può portalo a pensare, come Joe, che è la vittima ad avere bisogno di lui. Tutti i casi di stalker condividono quindi la presenza di un conflitto intrapsichico che conduce la persona a ritenere il legame persecutorio irrinunciabile nonostante stia compromettendo anche gravemente la salute psicologica, con derive nell’ambito relazionale, famigliare e del lavoro di tutti gli attori coinvolti. Di conseguenza vengono agiti dei comportamenti di controllo ossessivo finalizzati a mantenere in vita un contatto con la vittima, seppur esso stesso fonte di malessere. I comportamenti di minaccia e di controllo di altri in seguito alla nascita dei social network sono sicuramente aumentati soprattutto per la facilità con la quale ormai è possibile accedere a informazioni sulla vita privata delle persone e vista la tendenza sempre maggiore a condividere aspetti della propria vita ogni giorno e a nascondersi dietro la tastiera. Sono diversi i pazienti infatti che riportano in seduta i costi dei controlli che avvengono con la mediazione dei social network ma di non poterne fare a meno, come se quegli account fake e quella continua invasione nella vita dell’ex partner  o del partner desiderato garantissero un minimo di sopravvivenza alla relazione. Se da una parte questi controlli non mettono in discussione l’immagine esterna dello stalker (in genere tengono ben nascosta questa attività) dall’altra si accompagnano con una lunga serie di sintomi psicopatologici: i pazienti riportano infatti spesso emozioni di ansia e angoscia per aver ricevuto l’informazione che avrebbero preferito non sapere ma di continuare masochisticamente a cercare e a ricercare l’informazione temuta. Mauro (nome di fantasia), un mio paziente impazziva di rabbia e gelosia, quando si informava su facebook e su instagram della nuova relazione che la propria compagna stava intrattenendo. Aveva persino creato un nuovo account con il quale dialogava da amico con la sua ex per farsi raccontare dettagli piccanti della nuova relazione che lo facevano completamente impazzire mentre li leggeva. Provava dei sentimenti di rabbia distruttiva ogni volta che in quelle foto la vedeva felice e abbracciata ad un altro, ma nonostante questo non riusciva a smettere di controllarla e vedere l’andamento della relazione e chiedere bulimicamente altri dettagli. L’analisi dei costi, non serve quindi a contenere il comportamento perché il bisogno di mantenere il controllo e un contatto seppur minimo sull’altro diviene lo scopo primario, anche di fronte a una ingiunzione del tribunale o al dolore terrifico della vista dell’altro ormai felice. Joe, il protagonista di You, come tutta la generazione di pseudo-stalker, vive quindi un conflitto di tipo akrasico: sa benissimo in entrambe le stagioni che quelle relazioni finiranno male o per cacciarlo in qualche guaio, prova persino in qualche modo a distanziarsene, ma la sua problematica di dipendenza affettiva irrisolta, lo lega inesorabilmente alla vittima e alla fine ci ricasca e peggiora, puntata dopo puntata, controllo dopo controllo, la sua situazione fino a sentirsi costretto a distruggere definitivamente se stesso o chi quel sentimento disfunzionale lo aveva generato.

Per approfondimenti:

Pugliese E., Saliani A.M., Mancini F. (2019). Un modello cognitivo delle dipendenze affettive patologiche. Psicobiettivo (1), 43-58.