L’approccio cognitivo-comportamentale alla schizofrenia

L’approccio cognitivo-comportamentale alla psicosi può essere fatto risalire ad un articolo pubblicato da Beck nel 1952 dal titolo “Psicoterapia ambulatoriale efficace su uno schizofrenico cronico con deliri scaturiti da sensi di colpa”. Tuttavia,  questo tipo di ricerche ha cominciato a svilupparsi in modo sistematico solo all’inizio degli anni ’90 con lo scopo di arrivare ad identificare e controllare, attraverso interventi altamente strutturati, i sintomi centrali dei disturbi psicotici, con particolare riferimento a deliri e allucinazioni. (Fowler, Garety e Kuipers, 1995; Chadwick, Birchwood e Trower, 1996; Kingdon e Turkington, 1994; Tarrier, 1993;  Hodel e Brenner, 1994)

Il modello della mente utilizzato dall’approccio cognitivo-comportamentale si basa sull’assunto che le persone sviluppano e mantengono set cognitivi o schemi che permettono di dare un senso alle loro esperienze; sono i contenuti del pensiero di un individuo che influenzano i suoi stati d’animo e ne orientano i comportamenti. Gli interventi terapeutici si focalizzano perciò innanzitutto sulle alterate cognizioni  del paziente e sul modo in cui possono essere modificate.

Con il termine generico di “cognizione”, la psicoterapia cognitiva fa riferimento a tre elementi distinti:

1.   I prodotti cognitivi, ovvero le immagini, le ruminazioni, i pensieri, i sogni ad occhi aperti, ecc. Dei prodotti cognitivi, che sono il risultato di un processo di elaborazione dell’informazione in larga parte accessibile alla persona, fanno parte anche i “pensieri automatici” (Beck, 1976).

2.   Nell’ambito dei processi cognitivi, che rappresentano il secondo elemento della “cognizione”, Beck (1976) ha identificato alcuni errori di riconoscimento e di elaborazione dell’informazione, ovvero alcune “distorsioni cognitive”, che si ritrovano anche nelle modalità di pensiero deliranti e allucinatorie: il pensiero assolutistico, dicotomico o “tutto o nulla, l’ingigantire o il minimizzare, l’astrazione selettiva, la personalizzazione, la generalizzazione eccessiva, l’inferenza arbitraria.

3.   Il terzo elemento a cui ci si riferisce con il termine  “cognizione” è la struttura o lo schema cognitivo. Gli schemi cognitivi vengono concepiti come entità organizzative che contengono tutte le conoscenze che una persona possiede ad un dato momento relativamente a se stesso e al mondo. In essi confluiscono sia elementi cognitivi che emotivi, dal momento che ogni interazione con l’ambiente coinvolge sia elaborazioni che valutazioni (Piaget, 1954) Degli schemi cognitivi fanno quindi parte anche le valutazioni personali, ovvero i giudizi globali e stabili, le credenze valutative, che possono essere fatti o su di sé o su qualcun altro. Gli schemi cognitivi rappresentano però anche  meccanismi di elaborazione dell’informazione, in quanto sono attivi nel selezionare l’evidenza, nell’esaminare i dati provenienti dall’ambiente e nel proporre ipotesi appropriate. Beck (1979) sottolinea come il concetto di “schema” permetta di spiegare perché un paziente mantenga alcuni atteggiamenti e comportamenti che gli provocano sofferenza, nonostante evidenze contrarie. “Qualunque situazione è costituita da una sovrabbondanza di stimoli. L’individuo bada in modo selettivo a determinati stimoli, li associa in un modello e concettualizza la situazione. Benché persone diverse possano concettualizzare la medesima situazione in modi diversi, una data persona tende ad essere coerente nelle sue risposte ad eventi simili. Modelli cognitivi relativamente stabili formano la base della regolarità d’interpretazione di un particolare insieme di situazioni.” (Beck, Rush, Shaw, Emery, 1979, pag. 25) Di particolare importanza per la psicoterapia cognitiva sono gli schemi cognitivi che comprendono il concetto di sé elaborato dalla persona e la conoscenza dei propri rapporti con l’ambiente (passati e presenti e le previsioni per il futuro), ovvero lo schema interpersonale (Safran e Segal, 1990).