Eziologia della schizofrenia: i modelli stress-vulnerabilità

Sebbene a partire dal concetto di demenza praecox di Kraepelin (1919) si sia tentato di individuare una disfunzione cerebrale che spieghi l’eziologia della schizofrenia, tale approccio si è dimostrato riduttivo. Numerose ricerche di tipo genetico, farmacologico, neurofisiologico dimostrano chiaramente l’importanza dei fattori biologici nelle psicosi, ma tali fattori non sono di per sé sufficienti a spiegarne l’eziologia; per comprendere meglio l’insorgenza ed il decorso dei sintomi psicotici è necessario prendere in considerazione come anche fattori psicologici e sociali possano interagire con una predisposizione biologica.

      Molte ricerche disponibili sull’eziologia della schizofrenia sono coerenti con un modello di malattia “stress-vulnerabilità” (Nuechterlein e Dawson 1984), un modello che integra le attuali conclusioni di ordine biologico, psicologico e sociale.  I modelli “stress-vulnerabilità” dei disturbi psicotici rappresentano una via di uscita nel dibattito serrato fra teorie psicosociali (che ignorano o sottostimano l’importanza dei fattori biologici) e teorie biologiche (che ignorano o sottostimano l’importanza dei fattori psicologici o sociali.) Esistono vari modelli “stress-vulnerabilità” molto simili fra loro per ciò che riguarda lo sviluppo della patologia, sebbene ci siano alcune differenze nell’importanza data ai diversi elementi (Zubin e Spring, 1977; Strauss e Carpenter, 1981; Neuecheterlein 1987; Ciompi, 1988; Perris 1989). Per definire meglio il concetto di vulnerabilità individuale, i modelli prendono in considerazione i possibili fattori neurobiologici (alla base delle anomalie cognitive e percettive dell’individuo vi sono alterazioni strutturali del cervello, ereditate e/o acquisite, oppure deficit nell’elaborazione dell’informazione – si può trattare di alterazioni genetiche, traumi alla nascita, traumi cranici, malattie virali, deficit neurofisiologici) per poi cercare di comprendere come tali alterazioni interagiscano con fattori stressanti di tipo sociale (ad es. subire critiche continue o comportamenti invadenti in famiglia, scarso sostegno o ostilità da parte dell’ambiente, emarginazione, isolamento sociale…) e con i processi psicologici attraverso i quali un individuo impara a conoscere l’ambiente e ad interagire con esso. Tutti i modelli “stress-vulnerabilità” ipotizzano quindi che l’insorgere della patologia non sia ascrivibile ad un solo fattore (che non può essere considerato di per sé necessario e sufficiente), ma derivi dalle interazioni continue tra geni, ambiente e processi intrapsichici. Mettere l’accento sui processi interattivi non soltanto pone attenzione al potenziamento reciproco tra i vari fattori, ma anche agli effetti di neutralizzazione fra di essi che possono incrementare la capacità di recupero dei pazienti di fronte alle esperienze negative. In tal senso, il concetto di interazione, assieme al riconoscimento della vulnerabilità individuale, consente di porre in una prospettiva corretta anche l’impatto degli eventi di vita sulla persona. “Ciascun soggetto è vulnerabile in maniera idiosincratica ad eventi particolari, che possono essere invece del tutto indifferenti per un altro soggetto (…) Questo si accorda ovviamente con quanto ogni psicoterapeuta cognitivista conosce bene: è il significato che ciascuno dà agli eventi che alla fine determina la gravità del carico dello stress”. (Perris, 2000 pag. 27-28) Ne deriva che, sul piano terapeutico diventa importante scegliere interventi integrati, orientati non solo a mitigare l’impatto dei fattori esterni alla persona (ad esempio attraverso interventi per il potenziamento delle strategie di coping, o interventi di riduzione dell’emotività espressa  e delle critiche in famiglia), ma anche a modulare gli assunti di base disfunzionali di sé e delle relazioni con l’altro che la persona ha maturato nel corso dello sviluppo (a partire dalle relazioni precoci).

Quali trattamenti per la schizofrenia?

Da tutto quanto sopra esposto, consegue che il trattamento della schizofrenia non può limitarsi ad affrontare in modo riduzionistico una sola componente del disturbo, ma deve orientarsi verso un approccio biopsicosociale integrato, che comprenda aspetti farmacologici, psicoterapici e riabilitativi e tenga conto di una molteplicità di aree d’intervento. Qui di seguito è riportato uno schema riassuntivo degli interventi possibili (Fig.1)

TRATTAMENTI

 

Fig. 1 Schema tratto da: Merlini M. “Principi della riabilitazione e interventi Terapeutici in Comunità”, 2003 – 2004.

La descrizione e l’analisi degli interventi riabilitativi sui pazienti schizofrenici o sui loro familiari esulano dagli obiettivi del presente lavoro, pur rappresentando una componente importante del trattamento del paziente grave. In questa sede si prenderanno in considerazione i principali modelli di matrice cognitivo-comportamentale applicati alla schizofrenia, con particolare riferimento al trattamento dei sintomi positivi (deliri e allucinazioni).