Eziologia, fattori di vulnerabilità e di rischio

Studi sui fattori di vulnerabilità e di rischio per il DPTS si sono focalizzati sulle tre fasi: pre-trauma, peri-trauma e post-trauma.

Relativamente ai fattori di vulnerabilità pre-trauma, sebbene siano emerse poche tendenze chiare, alcune evidenze sembrano indicare un rischio maggiore di DPTS nelle persone con un livello di istruzione e socioeconomico basso, sposate, di sesso femminile, con difficoltà relazionali, con una storia di pregressi disturbi psichiatrici e/o di personalità. Le variabili relative all’ambiente sociale che possono influire sulla capacità della persona di fronteggiare uno stressor traumatico sono: l’indigenza, il livello di violenza, la trascuratezza, la presenza di disturbi mentali nelle figure di accudimento, una storia familiare di comportamento antisociale, la precoce separazione dai genitori. (Carlson 2005; Andrews et al. 2003; Connor e Butterfield 2003).

Alcune ricerche (True et al. 1993) hanno evidenziato che una parte della varianza nelle risposte al trauma dipende da fattori genetici, ma il meccanismo di influenza è ancora sconosciuto. Una possibile spiegazione è che la soglia oltre cui si resta sconvolti dalla paura e dal senso di impotenza varia da una persona all’altra in parte in funzione di differenze genetiche nelle risposte fisiologiche ed emozionali agli stressor, specialmente nella propensione alle risposte ansiose. E’ stata avanzata anche l’ipotesi di una predisposizione biologica non genetica, ossia fattori ambientali (es., esposizione a tossine o ormoni nell’utero materno o nelle prime fasi dello sviluppo) ed esperienze di vita (es., esposizione a stressor) possono produrre cambiamenti biologici permanenti. Infine, è stato rilevato che in risposta a esperienze traumatiche precedenti, si possono verificare alterazioni biologiche predisponenti al DPTS. In generale e in accordo con i modelli diatesi-stress, è probabile che: le persone con una predisposizione biologica all’ansia sviluppino reazioni più gravi se esposte a un trauma; i traumi infantili precipitino un disturbo mentale in una persona biologicamente predisposta; le persone biologicamente vulnerabili siano più a rischio di esposizione agli stressor traumatici (Carlson 2005).

Rispetto al fattore precedenti esperienze traumatiche, la questione è complessa e in letteratura esistono due diversi modi di inquadrare le loro conseguenze sulla capacità di fronteggiare ulteriori esperienze di stress. (1) Il fatto di aver vissuto eventi stressanti può aumentare la resistenza della persona alle successive circostanze stressanti; stressor poco frequenti e di livello relativamente basso potrebbero avere un effetto di rafforzamento che desensibilizza la persona agli effetti di stressor successivi e possono essere significativi rispetto alla successiva capacità di gestire il pericolo, dando l’opportunità di apprendere e praticare abilità di adattamento e sviluppando modelli interiori del sé e del mondo più flessibili che permettano di assorbire più prontamente i traumi futuri. (2) Gli eventi stressanti del passato potrebbero menomare la capacità individuale di fronteggiare un trauma (minori risorse emozionali e cognitive a cui attingere); previsione suffragata dalla maggior parte degli studi che rilevano una maggiore incidenza di DPTS nelle popolazioni di persone che vivono in circostanze più stressanti e un’associazione tra esposizione a eventi traumatici in passato (soprattutto se si tratta di abusi fisici e sessuali nell’infanzia) e aumento del rischio di DPTS (Andrews et al. 2003; Connor e Butterfield 2003; Carlson 2005).

Carlson (2005) ha sviluppato un modello teorico che potrebbe spiegare i due effetti opposti degli stressor precedenti: (a) contenimento: quando essi fanno apparire un trauma più controllabile e meno negativo; (b) sensibilizzazione: quando lo fanno apparire meno controllabile e più negativo.

La fase peritraumatica riguarda il periodo di tempo che comprende la situazione al momento del trauma e immediatamente dopo. La maggior parte degli studi ha evidenziato che i migliori predittori dell’insorgenza di un DPTS sono la gravità del trauma (es., un elevato livello di minaccia per la vita), la sua durata e la prossimità dell’individuo all’evento traumatico (Andrews et al. 2003; American Psychiatric Association 2002). Svolgono un ruolo importante anche la prevedibilità e la controllabilità: è più probabile che le persone si adattino meglio ad alti livelli di stress se questi sono almeno in parte attesi. Le impressioni e percezioni soggettive della persona possono quindi influire sulla natura e intensità percepite del trauma (es., un uomo minacciato che è convinto di sapersi difendere percepisce l’evento meno intenso rispetto a un uomo che crede di poter essere ucciso) (Carlson 2005).

Infine, alcuni studi hanno rilevato che la dissociazione peritraumatica è un predittore del DPTS migliore rispetto alle caratteristiche oggettive del trauma. E’ stato proposto che l’arousal ansioso peritraumatico aumenta la memoria correlata al trauma e sensibilizza i sistemi neurobiologici implicati nella patogenesi del DPTS (Andrews et al 2003; Brunet et al. 2001).

Riguardo ai fattori di vulnerabilità post-trauma, un buon sostegno sociale e le abilità di gestione dello stress possono modulare lo sviluppo del disturbo e facilitare il processo di guarigione (Connor e Butterfield 2003; Andrews et al. 2003; Fullerton e Ursano 2001). Il sostegno sociale, infatti, può contribuire a ristabilire il senso di controllo della persona e a ridurre la valenza negativa dell’esperienza (tanto più nei bambini, che, per assorbire le loro esperienze emozionali, dipendono molto dagli altri) (Carlson 2005).

Alcuni studi hanno inoltre evidenziato dei fattori che si associano a un maggiore rischio di sviluppare un DPTS cronico e/o caratterizzato da sintomi più gravi al follow-up, quali: un grave danno fisico, una rabbia persistente, una grave depressione, assistere alla morte o alla lesione di un’altra persona, la dissociazione, un ridotto supporto sociale, l’esperienza di nuovi traumi nei periodi di follow-up, un numero maggiore di sintomi di evitamento e di altri sintomi DPTS, disturbi psichiatrici o medici in comorbilità (Davidson 2002; Mellman et al. 2002; Perkonigg et al. 2005; Connor e Butterfield 2003). Mentre le misure delle iniziali reazioni al trauma spiegano la significativa variazione nel predire il DPTS, i processi che avvengono durante i primi 1-2 mesi dopo il trauma sembrano essere importanti fattori determinanti della progressione o risoluzione della sofferenza post-traumatica (Mellman et al. 2002).