Presentazione del paziente2

Anna, 30 aa, nubile, studentessa. E’ secondogenita di due figlie: la madre, 62 aa, è in pensione; il padre, 63 aa, è un professionista ancora in attività.

La pz da circa 15 anni è affetta da Disturbo Ossessivo-Compulsivo con ricorrenti episodi depressivi.

All’età di 13 aa, compaiono i primi pensieri intrusivi (3/4 episodi durante la giornata, di breve durata), accompagnati ad una marcata ansietà e caratterizzati da un profondo senso di colpa. I pensieri riguardano la paura di contaminarsi con l’aria e la polvere – oppure toccando oggetti sporchi – ed il timore di poter contaminare le persone, soltanto sfiorandole o toccandole dopo essersi “sporcata”.

Riferisce di avere pensieri ed immagini “inopportune” che riguardano le sue condotte sessuali; racconta di fare pensieri blasfemi e teme di poter pronunciare frasi contro Dio. Ha, per questo, paura di essere punita, trattandosi – a suo dire – di azioni moralmente inaccettabili.

La pz ci tiene a precisare che la nonna materna (donna molto religiosa), inizialmente riuscì a sviarla da tali pensieri, dicendole che erano solo pensieri e che sarebbero andati via così come erano comparsi. Oltre ad essere una donna molto religiosa, la nonna era una persona che – a differenza della madre (la quale assumeva solitamente un atteggiamento rigido nei confronti di A.) – la sapeva prendere «…con lei si poteva parlare tranquillamente e non mi sentivo criticata. Anzi, mi sentivo compresa».

Dai 14 ai 18 aa, in seguito a problemi di salute, le viene prescritto un busto ortopedico. Sono gli anni in cui frequenta il liceo classico: si descrive una studentessa modello. Studia molto, raggiunge ottimi risultati, anche se deve sopportare le critiche della madre per il fatto di dedicare tutto il suo tempo allo studio, trascurando il resto. Benché sia la madre stessa (paradossalmente!) ad invitarla a studiare ed a lodarla per le sue prestazioni scolastiche (in realtà, la loda soltanto se A. porta a casa un bel voto). A causa del busto ortopedico, A. è preoccupata di emanare cattivi odori ed inizia a lavarsi più volte durante il giorno. Anche per questo subisce le critiche della madre che – invece di provare a capire il disagio della figlia – la rimprovera duramente. Lamenta una scarsa vita sociale: vorrebbe coltivare delle amicizie e farne delle nuove, ma preferisce dedicare il suo tempo allo studio. Evita il confronto con le sue compagne di classe; vorrebbe essere spigliata, meno timida e più intraprendente per essere corteggiata dai ragazzi, ma non lo fa: si sente insicura.

A 17 aa, A. s’innamora di un ragazzo più grande (vecchia conoscenza), attratta dall’aspetto fisico. Lei comincia a provare qualcosa, ma si percepisce inadeguata: timida e impacciata, anche se la consola il fatto di conoscerlo già. Sviluppa il convincimento che il sentimento possa venire corrisposto e si costruisce aspettative positive circa l’esito della storia: anche perché il ragazzo sembra rivolgerle attenzioni e gradire la sua vicinanza. Salvo poi restare profondamente delusa quando il ragazzo le comunica apertamente che le sue intenzioni non sono quelle di avere una relazione sentimentale con lei.

A. si sente sconfitta e fallita. Comincia a sperimentare un senso di solitudine: si sente triste per la maggior parte del tempo e non ha il coraggio (forse non è capace!) di comunicare il suo malessere. Nei momenti di maggiore sconforto ed in correlazione ad un forte vissuto di ansia, ricorre ai rituali di lavaggio, aumentandone la frequenza.

A 18 aa, i pensieri ossessivi di contaminazione, sessuali e religiosi diventano molto invasivi e intensi. La pz non ha vita sociale. E’ consapevole di non riuscire a studiare come prima e questo la turba molto («Era l’unica cosa in cui mi sentivo sicura»).

Si manifesta il primo episodio depressivo. Decide di iniziare una psicoterapia ad indirizzo psicoanalitico, che dura un anno. A. racconta dell’insoddisfazione e dei dubbi nei confronti del terapeuta. Intanto, assume i farmaci prescritti dal medico di famiglia per le ossessioni e per la depressione: i familiari preferiscono non ricorrere ad uno psichiatra, lasciando intendere di voler tenere nascosto il disturbo della figlia.

Nessun riferimento alla sorella: A. si limita ad escludere problematiche relazionali, ma non racconta mai di essersi – per esempio – confidata con lei o di averle raccontato il suo problema, benché la sorella ne fosse a conoscenza.

La figura paterna, dal punto di vista affettivo, sembra non esistere: è un padre assente che lavora e sostiene la famiglia solo materialmente.

A 19 aa, A. inizia una storia sentimentale che dura circa 8 aa: la pz ritiene che non sia stata una storia serena, soprattutto a causa del suo problema, e del sentirsi in colpa e sporca con riferimento ai rapporti sessuali. Del resto, avere rapporti sessuali significava per lei compiere azioni immorali: per questo sentirsi sporca ed in colpa. E dover espiare la colpa mediante rituali di lavaggio.

A 20 aa, A. tenta il suicidio, ingerendo farmaci. Viene ricoverata in ospedale per la disintossicazione e – a seguire – in una clinica privata per il trattamento del disturbo depressivo mediante tecniche di musicoterapia. La permanenza in clinica dura tre mesi.

A 22 aa, dopo aver consultato diversi psichiatri, parte per Pisa e inizia la prima terapia farmacologica: clomipramina, fluoxetina, lamotrigina.

A 25 aa, intraprende un’altra psicoterapia: supera lo stato depressivo e le ossessioni, ma ottiene scarsi risultati relativamente alla componente compulsiva del disturbo.

L’anno successivo, A. parte in Olanda per un progetto universitario e ci trascorre sei mesi. Conosce un ragazzo: si frequentano, la colpisce il fatto che entrambi hanno in comune lo stesso disturbo e che il ragazzo dopo un lungo lavoro psicologico ne sia “guarito”. La pz s’innamora, pensa di poter vivere un relazione sentimentale (anche in questa circostanza si costruisce aspettative positive circa l’esito della storia), fino a quando il ragazzo non fa chiarezza: comunicandole che le sue intenzioni sono solo di amicizia. Per la seconda volta A. prova una profonda delusione.

Rientrata dal viaggio in Olanda, decide di intraprendere un’altra psicoterapia per trattare il disturbo compulsivo.

La pz giunge in terapia in seguito ad un peggioramento della sintomatologia. Mi dice che ciò che la fa soffrire sono i rituali di lavaggio: li considera esagerati e dannosi in quanto minacciano e compromettono gravemente la qualità della sua vita. Chiede esplicitamente di volerli affrontare: si sente intrappolata dai rituali e dai comportamenti di evitamento.

 

RITUALI DI LAVAGGIO

Frequenza:            

– 5/6 volte nell’arco della giornata.

Tempo impiegato:

– 1 ora per lavare le mani;

– 2 ore per la doccia, compresi i cerimoniali di riordino del bagno.

Criterio di stop:

– Mani: fino a quando non avverte la sensazione di pulito;

– Doccia: fino a quando non finisce l’acqua calda.

Grado di malessere soggettivo:

– Alto.

Grado di compromissione sociale e lavorativa:

– Alto.

 

Tabella 1. Rituali di lavaggio

Mi chiede in prima seduta se ho già trattato casi come il suo, aggiungendo di aver cambiato ed interrotto le psicoterapie precedenti per insoddisfazione nei confronti del terapeuta.

A causa della sintomatologia compulsiva e delle sue condotte di evitamenti, la pz riferisce una marcata compromissione nella qualità della vita e nel suo funzionamento generale: ritardo nello studio e nel lavoro, mancanza di vita sociale, assenza di relazioni affettive, inattività, isolamento. Non c’è nulla allo stato attuale che la interessi: si sente confusa, triste, incapace di programmarsi il futuro e stanca di emettere i rituali di lavaggio.

Si descrive una persona timida, introversa, sensibile alle critiche (in particolare a quelle della madre), insicura nelle situazioni sociali ed indecisa nel compiere scelte. Avverte un vissuto di fallimento rispetto a se stessa, soprattutto in riferimento al fatto di non aver realizzato niente di buono (laurearsi, trovare un lavoro,  avere una relazione sentimentale, una vita sociale), pur avendo 30 aa. Si definisce immatura rispetto alla sua età.