Una nuova diagnosi per il trauma infantile: dtd “developmental trauma disorder”.

Secondo un recente articolo di Tory De Angelis tratto da APA ONLINE (Monitor on Psychology, Marzo 2007), l’indicatore preso in considerazione per valutare quanti bambini soffrano a causa di severi traumi nel corso della loro infanzia ( abuso, stati di tra scurezza o abbandono, persistente violenza sociale, genitori danneggiati da malattie, alcool o depressione…ecc.) è il numero impressionante di bambini che annualmente è riportato dai servizi dedicati alla protezione infantile, per problematiche legate ad abuso ed abbandono: 3 milioni.

Di questi, circa un milione di casi sono stati documentati, in accordo ad una relazione del 2003 dell’Amministrazione per i Bambini, i Giovani e le Famiglie.

Un gruppo di lavoro composto da psichiatri e psicologi dell’età evolutiva (un gruppo che fa parte del NCTSN e comprende un consorzio di 70 centri dedicati alla salute mentale infantile) si sta occupando di inserire nel prossimo DSM V, che uscirà nel 2011, una nuova diagnosi che comprenderà la situazione critica che riguarda questi bambini e questi giovani e che, attualmente, non è adeguatamente compresa dalle attuali categorie diagnostiche.

Questo gruppo di specialisti sta studiando una nuova diagnosi chiamata: DTD Developmental Trauma Disorder; tale diagnosi sarebbe maggiormente appropriata nei casi di esposizioni a diversi traumi cronici, generalmente di natura interpersonale; quando si manifesta un set unico di sintomi che si differenzia dalla sintomatologia del Disturbo Post-traumatico da Stress e nelle situazioni in cui tali traumi condizionino i bambini, in modo diverso, a seconda del loro stadio di sviluppo.

La diagnosi proposta non è stata ancora definita completamente ma, secondo van der Kolk (2005) queste potrebbero essere le caratteristiche da considerare per effettuare questo tipo di diagnosi:

  1. Esposizione: Esposizione ad uno o più forme di traumi interpersonali avversi allo sviluppo, come: abbandono, tradimento, abuso fisico o sessuale ed abuso emotivo. In relazione a questo tipo di trauma, si potrebbero manifestare alcune reazioni (emotive) soggettive come: la collera,  la sfiducia legata al sentirsi tradito, la paura, la rassegnazione, il pessimismo, la vergogna.
  2. Disregolazione: Lo sviluppo di sregolato in risposta a traumi, include disturbi nella sfera emotiva, di salute, comportamentali (es. auto-aggressività), cognitivi (ad esempio: confusione e dissociazione), relazionali e di auto-attribuzioni.
  3. Attribuzioni ed aspettative negative: Credenze negative in linea con l’esperienza del trauma interpersonale. Potrebbero, ad esempio, riguardare il mettere fine all’aspettativa di essere protetto dagli altri e nel credere che la futura vittimizzazione sia inevitabile.
  4. Danni funzionali: Danneggiamento in qualcuna o in tutte le aree di vita del bambino, compresa la scuola, le amicizie, le relazioni familiari e il rapporto con l’autorità/la legge.

Lo psichiatra B. van der Kolk (Boston University Medical Center) dichiara: “Mentre il PTSD è una buona definizione per il trauma acuto negli adulti, non è adeguato nei bambini, che spesso sono traumatizzati in un contesto relazionale e, poiché lo sviluppo cerebrale non è completato, il trauma ha un’influenza molto più pervasiva e di lunga portata sul loro concetto si sé, sul loro senso del mondo, sulla loro abilità di auto-regolazione.

Robert Pynoos, ritiene che il DTD abbia una forte base scientifica e che, introducendo una diagnosi rigorosa si possa fare molto per migliaia di bambini.

Per contribuire ad una solida validità scientifica, il gruppo di studiosi sta analizzando un grande database di tutti quei bambini che potrebbero essere canditati per la diagnosi potenziale.

I membri del network per i traumi infantili, che si occupa di circa 50.000 bambini all’anno, sta costruendo un set di dati riguardanti non solo che tipo di traumi sono stati vissuti dai bambini, ma anche quando sono capitati e per quanto tempo.

Il gruppo sta tracciando uno studio longitudinale di 20 anni di 4000 bambini australiani sopravvissuti a disastri naturali, includendo domande sulla storia di vita.

In questo modo, verranno effettuati confronti tra i bambini che hanno sofferto a causa di traumi interpersonali e bambini che non ne hanno subiti.

J. Ford, psicologa dell’Università del Connecticut, sostiene che il quadro teorico di riferimento è dato dalla letteratura sull’attaccamento, sullo sviluppo e sul trauma interpersonale ed, in particolare, sono analizzate due correnti di ricerca. La prima riguarda le ricerche sui bambini, che hanno subito traumi interpersonali, che manifestano un’abilità alterata nella regolazione delle emozioni, del comportamento e dell’attenzione.

Esperimenti con alcuni animali hanno dimostrato che quando il caregiving è interrotto o ritirato, diventano ansiosi, hanno un’elevata reattività ai fattori di stress e quando diventano più grandi, sono molto meno propensi ad esplorare i loro ambienti.

L’altro filone di ricerca dimostra che l’abilità successiva dei bambini di ragionare chiaramente e di risoluzione dei problemi con una modalità calma, non impulsiva proviene dalle loro esperienze relative ai primi 5 / 7 anni di vita.

Uno studio retrospettivo in corso su 17.337 adulti (utenti dei servizi fondati da “kaiser Permanente” e del Centro di controllo e prevenzione dei disturbi) ha considerato una relazione altamente significativa tra le esperienze traumatiche infantili (come abusi sessuali e fisici) e episodi successivi di depressione, tentati suicidi, alcolismo, abuso di sostanze stupefacenti, promiscuità sessuale e violenza domestica.

Hanno anche dimostrato che più sono avverse le esperienze infantili riportate e più facilmente il soggetto potrebbe sviluppare malattie quali attacchi cardiaci, cancro e ictus.

Il gruppo sta anche prendendo in considerazione le ultime scoperte sulle conseguenze neurobiologiche dello stress traumatico interpersonale. Ad esempio, in donne abusate da bambine che ricordano memorie dell’abuso o che si trovano ad affrontare stimoli cognitivi stressanti si manifestano forti reazioni in aree del cervello che segnalano la minaccia, tranne una ridotta mobilitazione delle aree cerebrali coinvolte nella focalizzazione dell’attenzione e nella categorizzazione delle informazioni.

Per quanto riguarda il trattamento del trauma infantile è abbastanza evidente la necessità di raccogliere le informazioni sui nuovi interventi specifici per lavorare con questi giovani.

Una tipologia di trattamento si basa sull’insegnamento di abilità di auto-regolazione con la finalità di raggiungere la consapevolezza sul loro livello di adattamento al trauma.

Il trattamento potrebbe aiutarli a modificare il loro stile di adattamento spostandosi da un modo iniziale legato alla sopravvivenza ad uno maggiormente appropriato allo stadio di sviluppo, recuperando competenze specifiche della crescita.

La Lieberman è critica rispetto al coinvolgimento dei genitori dal momento che coloro che maltrattano i propri figli spesso hanno anch’essi dei problemi di disregolazione (trasmissione intergenerazionale del trauma).

Nel tipo di psicoterapia Genitore-Bambino si interviene aiutando il padre o la madre ad abituarsi alla loro stessa disregolazione ed a divenire più responsivi a quella del bambino.

Molti esperti sostengono che le basi del nuovo gruppo di studiosi è ben radicato nelle recenti scoperte della ricerca sull’attaccamento genitore-bambino, sullo sviluppo neurobiologico, sui processi di elaborazione delle informazioni e nei risultati del trattamento.

Il presidente della divisione 56 dell’APA che si occupa di trauma, J. Alpert sostiene che il gruppo sta lavorando per identificare correttamente alcuni sintomi certi dei bambini ed il trauma interpersonale.

Ovviamente, questi autori ritengono di vitale importanza che la ricerca sia efficace nell’identificare correttamente i bambini e che una tale diagnosi  non venga utilizzata in modo scorretto o abusata.