di Claudia Perdighe

 

Dopo aver visto questa miniserie, ne ho suggerito la visione a diverse pazienti con un funzionamento di personalità borderline, o comunque con qualche difficoltà in ambito amoroso, con l’indicazione di condividere poi eventuali riflessioni. Mi aspetto che non siano molto soddisfatte del finale, che riportino l’impressione che il finale sia un “accontentarsi” e adattarsi, nella sua accezione
negativa. La protagonista è una giovane donna indiana in età di matrimonio, pressata dalla mamma nella ricerca di un ragazzo giusto da sposare. Come mai la suggerisco?
La prima ragione è che offre delle risposte alla domanda, che ogni tanto mi è stata fatta in quanto terapeuta, “cosa è l’amore? Come mi accorgo che è quello giusto?”.

Domanda a cui non so mai rispondere, se non con risposte scolastiche e banali. In questa serie la regista Mira Nair presenta
diverse tipologie di amore e diverse scelte basate sui piani di vita personali che guidano nella risposta a: “chi è giusto per me?”.
La seconda ragione è che mi sembra offra, nella trama principale e nella scelta finale del suitable boy della protagonista, una visione dell’amore che si contrappone a quella che spesso vediamo nelle pazienti con disturbo di personalità borderline e che, in fondo, è la stessa risposta che da una buona parte della letteratura e fiction sull’amore occidentale.

La protagonista a un certo punto dice “Io credo che ci siano due tipi di attrazione. Uno ti eccita, ti turba, ti mette a disagio. L’altro è un amore più calmo, meno frenetico, che ti aiuta a crescere come già stai facendo”. In questo sembra contrapporre una scelta basata sulla serenità, sul “sto bene perché so che ci amiamo e non ci faremo del male” che è il contrario dell’amore passionale che
trova uno dei suoi prototipi nell’amore tra Hearticliff e Catherine in Cime Tempostose.

In questo classico della letteratura occidentale l’amore è tormento, sofferenza, qualcosa che non porta mai serenità, che non migliora la vita ma la toglie o la rende dolorosa da tollerare. È l’amore che disprezza i sentimenti affettuosi che non fanno soffrire: “Se lui (il marito di Catherine) amasse con tutte le sue forze del suo piccolo essere, non riuscirebbe nemmeno in ottant’anni ad amarla quanto io in un sol giorno”. È un tipo di amore che prevede una esclusività totale e una forza della passione che non lascia dubbi su “cosa provo?” e su “l’altro mi ama”; ma la certezza sull’amore proprio e dell’altro viene dal dolore, dal tormento e non da sentimenti di benessere: “Vorrei poterti tenere cosi finché non morissimo entrambi! Non mi importerebbe nulla delle tue sofferenze! Cosa vuoi che m’importi delle tue pene? Perché tu non dovresti soffrire? Io soffro! Mi dimenticherai? Sarai felice
quando io sarò sotto terra?”. “Sai che non potrei dimenticarti come non potrei dimenticare la mia propria esistenza! Non basta al tuo egoismo diabolico la sicurezza che, mentre tu sarai in pace, io mi contorcerò qui fra tormenti d’inferno?”

Neanche Nira Mair offre una risposta a quale è il suitable boy, ma aiuta a riflettere su “che vita voglio?”, come domanda preliminare alla scelta amorosa.