Conclusioni

 

Il campione appartenente allo studio citato, non è certamente da potersi considerare rappresentativo dell’intera popolazione, in quanto non comprende i soggetti non affetti da DCA o colpiti da tali patologie ma non in carico ai servizi; in ogni modo, possiamo ritenere che tale studio sia utile a fornire una prima visione della diffusione del fenomeno nel campo dell’utenza, diffusione che risulta essere ad oggi consistente. In considerazione di questo dato, si ritiene indispensabile far luce sul fenomeno, sollevando quel velo che permette alla comunità ANA di proliferare online, protetta dal segreto della rete. La scarsa conoscenza del “culto dei disturbi del comportamento alimentare in internet”, rende tale fenomeno ancor più insidioso e pericoloso poiché esso stesso può rappresentare, da una parte, una fattore facilitante l’esordio di un disturbo del comportamento alimentare in soggetti portatori di fattori predisponenti, e, dall’altra, un fattore di mantenimento del disturbo stesso su cui non si possiede una conoscenza tale da permettere un intervento adeguato ed efficace.

A partire dagli studi sopracitati, si rende necessaria una riflessione in merito alle spiegazioni fornite dagli autori circa la diffusione dei siti pro-ana. In particolare, appare doveroso soffermarsi a considerare come la chiusura di tali siti da parte delle Autorità non può rappresentare una soluzione alla evidente ricerca di un senso di comunità e di identità  di cui le partecipanti si rendono portatrici. Ci si interroga perciò su come sia possibile intervenire al fine di favorire la trasposizione di tale bisogno di affiliazione gruppale e di costruzione di un senso di identità ad un contesto che, a differenza di quello fin qui considerato, non rappresenti un fattore in grado di generare e mantenere la patologia mentale.

 

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Elisa De Matteis e Marzia Toscano

Specializzata a Roma, training Mancini

 

 

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