La desensibilizzazione sistematica

La terapia cognitivo comportamentale fa largo uso, nella pratica clinica, di tecniche immaginative. La più conosciuta è, indubbiamente, la desensibilizzazione sistematica.

Questa, ideata da Wolpe nel 1958, è una tecnica terapeutica che si basa sul concetto per cui, se è possibile fare in modo che alla presenza di uno stimolo ansiogeno compaia una risposta antagonista all’ansia (ad esempio uno stato di rilassamento muscolare, un’immagine piacevole, …), che contrasti la risposta d’ansia, si viene ad indebolire il legame esistente tra questo stimolo e l’ansia stessa. Dunque, associando la rappresentazione di una situazione che genera ansia a uno stato di rilassamento e a un’immagine piacevole, è possibile inibire la reazione emotiva spiacevole. In termini pratici l metodo della desensibilizzazione sistematica consiste nel costruire una gerarchia di situazioni ansiogene compilando un elenco di situazioni e ordinandole da quella che genera meno ansia a quella che ne genera di più. Sono, queste, le “situazioni-stimolo” che il paziente deve imparare ad affrontare. Alla persona che si sottopone a desensibilizzazione sistematica si insegna una tecnica di rilassamento e ad individuare un’immagine mentale capace di indurle un senso di relax: un paesaggio, una musica, un viso, … Sarà questa immagine, associata all’esercizio di distensione, l’antidoto contro l’ansia.

Durante il processo il paziente, con l’aiuto del terapeuta, passa mentalmente in rassegna le varie situazioni-stimolo, partendo da quella meno ansiogena e più tollerabile, a cui associa la risposta di rilassamento. Quando l’ansia non si presenta più si passa alla situazione successiva.

Le fasi da seguire sono, quindi, le seguenti:

1.    Addestramento al rilassamento muscolare

2.    Costruzione di una gerarchia di stimoli ansiogeni

3.    Abbinamento delle immagini ansiogene con lo stato di rilassamento

Il gruppo di lavoro di Lorenzini, Sassaroli e Ruggiero fa riferimento ad un metodo alternativo a quello appena proposto che prende il nome di “desensibilizzazione/self control” (Goldfried, 1971). Invece di utilizzare immagini graduali e ripetute di situazioni ansiogene la desensibilizzazione self control richiede al paziente, dopo aver raggiunto uno stato di rilassamento profondo, di immaginare scene di situazioni stressanti che provocano ansia e rimuginio e, nel momento in cui questi si presentano, di continuare ad immaginare la scena immaginando, contemporaneamente, di mettere in pratica strategie di fronteggiamento. La scena termina nel momento in cui il paziente riesce a viverla senza ansia, il rilassamento viene, poi, aumentato e la scena viene ripetuta finchè non è più in grado di elicitare l’emozione negativa o finchè il paziente non è in grado di mettere in atto strategie di fronteggiamento efficaci nel più breve tempo possibile (Borkovec, Sharpless, 2004).

L’immaginazione, di cui si fa uso sia nella tecnica della desensibilizzazione sistematica di Wolpe sia nella tecnica della desensibilizzazione/self control di Goldfried, ha, come sostengono Sassaroli, Ruggiero, et al. (2003), particolari funzioni:

1.    L’immaginazione di contenuti emotivi produce le stesse reazioni fisiologiche elicitate da fatti reali (Lang, Levin, Miller, Kozak, 1983)

2.    L’immaginazione di particolari abilità di coping può essere un valido aiuto per la loro messa in pratica nella vita reale (Murphy, 1994)

3.    L’immaginazione di un evento può condurre, a distanza di tempo, alla convinzione che l’evento si sia realmente realizzato (Garry, Manning, Loftus, 1996).

Il rimuginio fa sì che i pazienti temano il realizzarsi di eventi catastrofici che vengono percepiti con una forte evidenza, la desensibilizzazione/self control, forte del lavoro su questi aspetti portato avanti in terapia, può allora prevedere che le persone sostituiscano l’immagine di eventi drammatici con immagini di eventi e di conseguenze più realistiche e probabili.

La gestione degli aspetti interpersonali del rimuginio

Il gruppo di ricerca di Sassaroli, Ruggiero et al. Ha constatato come uno dei temi che più frequentemente compare nel rimuginio e nel disturbo d’ansia generalizzata ha a che fare con paure legate ai contesti interpersonali; in particolare il rimuginio è spesso associato a paure di valutazioni sociali.

La terapia non può, ovviamente, prescindere da questi dati e deve tener conto sia delle paure interpersonali espresse attraverso il rimuginio, sia delle paure che possono essere alla base del disturbo d’ansia generalizzata.

Non solo le relazioni sociali possono essere fonte di ansia, numerose ricerche hanno dimostrato come la paura delle emozioni, in generale, possa essere considerata il timore centrale del disturbo d’ansia generalizzata. Studi condotti da Abel e Borkovec (1994) hanno riscontrato alti livelli di alessitimia (incapacità di descrivere ed identificare le emozioni) in questi pazienti; ancora essi sostengono di temere tanto le emozioni positive quanto quelle negative (Mennin el al., 2001). Il trattamento di queste persone dovrà tenere in forte considerazione questi aspetti e prevedere la possibilità di esporli ad esperienze emotive ripetute.

Forti di queste conoscenze la dottoressa Newman ed il dottor Castongui hanno messo a punto un modulo terapeutico da aggiungere alla terapia cognitivo comportamentale di base. Con questo nuovo approccio si desidera aiutare i pazienti a prendere coscienza dei loro bisogni relazionali e delle paure che li accompagnano, mettendoli, poi, nelle condizioni di apprendere nuovi comportamenti sociali adeguati che consentano di superare le difficoltà. A tal proposito vi sono alcune tecniche che è possibile mettere in atto:

       Analisi funzionale dei comportamenti sociali e delle diverse emozioni coinvolte. Una delle tecniche comportamentali che si utilizzano per la gestione dei comportamenti clinicamente rilevanti è l’analisi funzionale. Essa si basa sull’analisi delle relazioni esistenti tra gli eventi presi in esame e si pone l’obiettivo di individuare il ruolo che questi rivestono nella relazione reciproca. L’analisi funzionale serve, dunque, per osservare, registrare, analizzare e valutare le sequenze di avvenimenti che accadono intorno al comportamento, per determinare quali rinforzi lo mantengano e quali condizioni di stimolo ed eventi ambientali creino l’occasione per il manifestarsi di quel comportamento. Gli ingredienti su cui soffermarsi, quindi, sono:

Antecedente (cosa succede prima del comportamento)

Comportamento (descrizione operativa)

Conseguenza (cosa succede dopo il comportamento)

Una volta registrato il numero di volte in cui il comportamento appare, cosa succede prima del suo apparire e cosa succede dopo, si ha uno specchio della realtà da cui si può desumere cosa scateni una crisi e le conseguenze che tale crisi innesca.

       Analisi della probabilità che i vecchi comportamenti siano realmente funzionali.

       Promozione di strategie e apprendimento di nuovi metodi che garantiscano maggiori probabilità di ottenere gli esiti desiderati.

       Gioco di ruolo in terapia per la sperimentazione di nuovi comportamenti. Grazie a questa tecnica il paziente può sperimentare, in un ambiente protetto, comportamenti alternativi a quelli usuali; il ruolo del terapeuta consiste nel rimandare alla persona ciò che prova a livello emotivo, ciò che il comportamento e le modalità in cui viene esperito provocano e suscitano nell’interlocutore. Il paziente avrà così modo di rendersi conto  delle conseguenze dei suoi atteggiamenti e delle sue parole e potrà regolarsi su come comportarsi nella vita di tutti i giorni con le altre persone. Ciò gli consentirà di verificare se i suoi comportamenti siano funzionali agli obiettivi che intende raggiungere e se questi lo soddisfino.

Tutte le tecniche sopra esposte hanno lo scopo di mettere il paziente di fronte a continue esperienze emotive che, grazie ad una nuova familiarità e alla mediazione del terapeuta, perdono l’alone di mistero e di paura che le avvolgeva. Una nuova confidenza e sicurezza emotiva permetteranno all’individuo di sperimentarsi, di non evitare più le esperienze emotive e relazionali e quindi di comprendere e rispondere ai propri bisogni.