Una definizione di rimuginio

Il termine “rimuginio” sta ad indicare un fenomeno clinico caratterizzato da ripetitività e capacità pervasiva di occupare spazio mentale (Sassaroli, Ruggiero, et al., 2003). Come sostiene Borkovec (Borkovec et al., 1998) le caratteristiche fondamentali del rimuginio sono la predominanza del pensiero verbale negativo, a scapito di quello immaginativo, l’evitamento cognitivo e l’inibizione dell’elaborazione emotiva. Ciò sta ad indicare che nel rimuginio vi è una predominanza quantitativa del tempo che il soggetto dedica, utilizzando il canale verbale, a predire possibili eventi negativi futuri, attività caratterizzata da emozioni di ansia. La predominanza del pensiero verbale è giustificata in quanto questa consentirebbe una gestione razionale delle emozioni consentendo alle persone di valutare senza interferenze emotive la risposta più appropriata al problema. Il rimuginio, quindi, non sarebbe in sé un comportamento disfunzionale in quanto consentirebbe di prendere una decisione pratica senza essere in uno stato di rilassatezza e senza essere condizionati dall’emozione di ansia. Il rimuginio, tuttavia, può diventare disadattivo in quanto una condizione protratta nel tempo di inibizione emotiva può determinare una persistenza di emozioni spiacevoli. Come sostengono Sassaroli, Ruggiero et al (2003) il rimuginio patologico (tratto distintivo dei disturbi d’ansia in generale e del disturbo d’ansia generalizzato in particolare) sarebbe, così, caratterizzato dalla ripetizione persistente degli elementi del problema che viene predetto come catastrofico e a cui non segue una decisione operativa in quanto tutte le ipotesi vagliate dal soggetto appaiono come inadeguate e non risolutive di fronte ad una minaccia, vaga ed indefinita,  che pare portare ad un attacco definitivo, irreversibile, irreparabile e catastrofico. Il rimuginio, quindi, è una ripetizione mentale continua del timore del danno irreversibile senza la rappresentazione di scenari concreti di realizzazione e senza l’elaborazione di piani di coping efficaci (Eysenck, 1992; Stober, Borkovec, 2002; Schonpflug, 1989) ed in cui i correlati fisiologici tipici dell’ansia sono come spenti.

Rimuginio: cosa lo predispone e quali scopi sono sottesi

Il rimuginio, secondo Mathews (1990), è reso possibile dalla presenza nella memoria a lungo termine di informazioni negative e minacciose, da un’attenzione selettiva (bias attenzionali) verso percezioni ed emozioni minacciose e da stati di ipervigilanza (Sassaroli, Ruggiero, et al., 2003). Non è sempre facile capire se questi fattori siano antecedenti del rimuginio, che quindi ne facilitano l’insorgenza, o se siano fenomeni che lo accompagnano nel suo svolgersi; a ciò hanno cercato di dare una risposta Mc Leod e Mathews (1988) che, grazie ad uno studio sui soggetti ansiosi, hanno potuto sostenere l’ipotesi dell’ipervigilanza come antecedente. I bias nell’elaborazione delle informazioni agiscono, poi, come potenti fattori di mantenimento in quanto contribuiscono a mettere continuamente in luce, a causa dell’inflessibilità cognitiva dei soggetti, potenziali minacce nell’ambiente.

Viene spontaneo chiedersi come mai il rimuginio, pur essendo inefficace, sia un fenomeno così presente e pervasivo, Borkovec (1998) ha risposto a questa domanda sostenendo che il soggetto ruminatore attribuisce all’attività di rimuginare scopi positivi, vantaggiosi, e ciò rinforzerebbe il rimuginio.

Vediamo, come illustrato da Sassaroli, Ruggiero et al., quali possono essere questi scopi positivi:

1.    Attenuazione dell’ansia somatica, stato d’animo spiacevole. Come è stato sostenuto sopra il rimuginio sarebbe associato ad un raffreddamento degli stati fisiologici spiacevoli tipici dell’ansia, pertanto risulterebbe un’attività che affievolisce uno stato fisiologico spiacevole. Questa modalità, tuttavia, non fa altro che mantenere l’ansia: affinchè vi sia un cambiamento è necessario che vi sia accesso agli stati di paura immagazzinati in memoria, accesso bloccato proprio dal rimuginio. L’evitamento delle immagini associate all’ansia aumenta il rimuginio attraverso il meccanismo del rinforzo negativo in forza del fatto che le sensazioni negative caratteristiche dell’arousal ansioso diminuiscono o scompaiono durante il rimuginio.

2.    Rimuginio come modalità di risoluzione dei problemi. Molti soggetti non si rendono conto del fatto che il rimuginio è un’attività mentale che non porta all’elaborazione di un piano concreto ed efficace di risoluzione dei problemi, pertanto interpretano questa attività come un pensiero produttivo. In realtà alla minaccia temuta non viene contrapposta nessuna strategia risolutiva, quindi la minaccia permane e con essa permane il rimuginio.

3.    Rimuginio come” scudo emozionale” (emotional shield). Il soggetto, pur essendo consapevole della scarsa efficacia delle sue preoccupazioni per la risoluzione dei problemi, ritiene che rimuginare sia comunque corretto perché lo mantiene in uno stato di allarme che gli permetterà di essere pronto quando i suoi timori, inevitabilmente, si presenteranno.

4.    Rimuginio come attività distraente da preoccupazioni peggiori. Studi condotti da Vasey e Borkovec (1992) hanno messo in luce che i soggetti con tendenza al rimuginio hanno una probabilità di vedere eventi negativi e catastrofici molto maggiore dei soggetti non rimuginatori. Il timore è poi generalizzato al punto che gli individui vedono eventi catastrofici che si susseguono partendo da quelli meno gravi fino ad arrivare a quelli più irreversibili. Secondo Borkovec i soggetti rimuginatori si soffermerebbero sui timori meno carichi emotivamente, ciò facendo si impedirebbero di vedere e prendere in considerazione le preoccupazioni più distruttive. L’evitamento dell’esperienza emotiva potrebbe avere l’effetto di motivare l’individuo ad un rimuginio cronico.

5.    Rimuginio ascopico. L’esperienza clinica del gruppo di ricerca di Lorenzini, Sassaroli e Ruggiero ha portato all’individuazione di questo particolare tipo di rimuginio chiamato ascopico in quanto il soggetto non sembra essere in grado di spiegare i motivi che lo portano a rimuginare. Questa credenza ben si inserisce all’interno delle teorie naif degli impulsi, che vedono il rimuginio come fenomeno incontrollabile e al quale non è possibile sottrarsi, anche se le evidenze cliniche portano ad ipotizzare che questo particolare tipo di rimuginio, riscontrato prevalentemente in soggetti con una lunga storia di malattia, sia il frutto di un impoverimento e deterioramento cognitivo.

Una delle caratteristiche della mente umana è quella di ritornare continuamente ai problemi irrisolti, il rimuginio interviene poiché l’individuo ritiene, appunto, di avere un problema da risolvere, la minaccia, tuttavia, non riguarda il momento presente, bensì il futuro pertanto la risposta funzionale attacco o fuga non può essere messa in atto; il rimuginio diventa quindi una risposta di evitamento cognitivo grazie alla quale il soggetto si illude di poter eliminare la minaccia percepita alla quale non è possibile rispondere con un comportamento appropriato.

La maggior parte delle preoccupazioni finisce per non realizzarsi e ciò ha il potente effetto di rinforzare la convinzione che il rimuginio sia un’attività in sé funzionale.

Una spiegazione ulteriore dello sviluppo del rimuginio patologico è quella proposta da Dugas, Gagnon, Ladouceur e Freeston (1998) che riconducono lo sviluppo del rimuginio a quattro caratteristiche: intolleranza del soggetto per l’incertezza (fattore più importante nello sviluppo del rimuginio patologico), atteggiamento negativo verso i problemi, credenze positive sul rimuginio ed evitamento cognitivo.

Nel 2000 Wells, alle convinzioni positive già individuate, ha aggiunto quelle che risultano essere convinzioni negative sul rimuginio, il metarimuginio (meta-worry), ovvero preoccupazioni che il soggetto dimostra per le ragioni del suo rimuginare. Secondo Wells queste preocccupazioni si dividerebbero in:

§  “Convinzioni di pericolosità e incontrollabilità del rimuginio” secondo le quali l’individuo si percepirebbe come non in grado di controllare il proprio pensiero e quindi a rischio di impazzire (Sassaroli, Ruggiero, et al., 2003);

§  “Convinzioni di tipo autosvalutativo” in cui il soggetto interpreta la tendenza a rimuginare come un segnale di debolezza (Sassaroli, Ruggiero, et al., 2003);

§  “Convinzioni di colpa e aspettative di punizione” in cui il rimuginio viene considerato possibile causa di eventi negativi (sia realistici, sia superstiziosi) per sé o per gli altri e quindi è accompagnato da sensi di colpa (Sassaroli, Ruggiero, et al., 2003).