Definizione del problema secondo il terapeuta

Il paziente presenta un disturbo psicologico definito  “Ansia sociale”,  per  il quale  è convinto  che le proprie azioni e prestazioni in pubblico lo esporranno a giudizi, valutazioni poco lusinghiere e critiche da parte degli altri. Nella maggior parte degli episodi narrati il paziente teme di essere preso in giro o biasimato. La credenza è quella di poter essere giudicato negativamente dagli altri con  conseguente allontanamento o rifiuto, cosa che in effetti può accadere in virtù dei comportamenti protettivi adottati, che paradossalmente lo espongono più facilmente all’attenzione e al commento sarcastico degli altri.  Le situazioni sociali sono generalmente evitate o vissute con particolare timore. In particolar modo teme  di mostrarsi in difficoltà o emozionato (rossore, tremore, sudorazione…).  Al fine di spiegare i disagi del paziente utilizzo il modello dell’ansia sociale  avanzato da Wells e Clark (1997) che integra le convinzioni con i circoli di feedback di mantenimento. Secondo questo modello lo scopo centrale  (lo scopo terminale è quello dell’adozione da parte degli altri) del paziente è quello di fare una buona impressione, ma tale desiderio è accompagnato da una profonda insicurezza sulla riuscita.  Davanti ad una situazione sociale si attivano le convinzioni catastrofiche sull’esito e cioè la valutazione negativa da parte degli altri e decremento della stima di sé a fronte del fallimento temuto. Tali credenze modificano la fisiologia del corpo, attivandolo con i segnali classici dell’ansietà. I sintomi somatici, specialmente il rossore del volto e la sudorazione,  sono interpretati come un ulteriore pericolo per la propria immagine sociale. I metodi non funzionali che il paziente utilizza per risolvere questi problemi, vengono definiti meccanismi di mantenimento e sono, nel nostro caso, l’attenzione selettiva su di sé e sui segnali fisiologici del corpo,  i comportamenti protettivi e gli evitamenti. Questi comportamenti mantengono in vita il disturbo del paziente sebbene egli sia convinto del contrario. Inoltre è di particolare importanza il dato per cui il paziente tende a considerarsi costantemente e suo malgrado al centro dell’attenzione “critica”, riconducendo a sé le reazioni degli altri. I comportamenti messi in atto dal paziente, in sintesi,  riducono la probabilità di acquisire dati aggiuntivi che disconfermino le idee disfunzionali che possiede.

Il paziente ha come scopo primario quello della buona immagine. Sente come particolarmente motivante l’approvazione dei suoi cari e quella degli estranei e pretende di ottenere la stima da parte di tutti. Crede che la stima si ottenga facendo le cose in modo impeccabile ma siccome non crede di essere capace di concludere le cose nel migliore dei modi, a causa di un basso valore personale,  preferisce non intraprenderne alcuna o di sopportarne solo qualcuna se strettamente indispensabile (questo fa si che il disturbo non appaia come gravissimo).  Negli  ABC osservati emerge la preoccupazione di essere d’impaccio o disturbo, o giudicato negativamente. 

Sul processo primario si installa un secondario di autocritica e colpevolizzazione per l’ansia provata. Quando Timoteo è ansioso c’è molta attenzione attorno a lui. Ciò appare come un rinforzo positivo.  In sostanza chiamando a sé le attenzioni dei familiari a causa della sua ansietà, ottiene l’attenzione che desidera e che giudica amorevole.  Durante l’assessment si ricercano i momenti di esordio e scompenso del disagio. Timoteo inizia a evidenziare problemi d’ansia al contatto con la scuola. Di carattere chiuso, taciturno, al primo giorno di scuola e per i mesi successivi ha sempre mostrato un’articolata sintomatologia (vomito, tremori, mal di pancia e diarrea) che invariabilmente conduceva all’essere premurosamente prelevato da scuola e portato a casa. Crescendo le crisi sono certamente diminuite ma a 17 anni sono avvenuti  alcuni episodi che hanno caratterizzato una nuova fase critica, tra questi eventi c’è il seguente:

“Avevo 17 anni, una volta dovevo fare una trasferta di 400 km con la squadra, ho mangiato e sono andato verso (nome città), giocavo con (nome città), sono arrivato là e me ne sono tornato indietro. (cosa ti passava per la mente?) la solita cosa: se devo andare in bagno sul pullman? Si devono fermare per me sulla strada. Anche a scuola in gita mi capitava però, anche se sono andato in gita, poi magari nel pullman si parlava e non c’ho pensato più però prima di partire c’avevo sempre il chiodo fisso: come devo fare se devo andare in bagno?”

Lo scompenso avviene cinque anni fa: Timoteo inizia a produrre numerosi evitamenti, appare depresso, si sente bloccato nelle sue autonomie e inizia a rinunciare a diverse esperienze.  In quel periodo al padre viene diagnosticata una forma di leucemia. Inoltre Timoteo inizia a lavorare presso il siderurgico. Timoteo aveva difficoltà a viaggiare   e manifestava problemi nel mangiare a casa della fidanzata:

“Cinque anni fa andavo a casa di Carla  a mangiare dai suoi. Mi sedevo in un posto dove potevo alzarmi presto se dovevo andare in bagno. Se mi mettevo vicino al muro era difficile alzarsi e dovevo far alzare gli altri e poi mi veniva un blocco e non riuscivo nemmeno a mangiare, come vedevo il cibo davanti mi disgustavo, fino ad allora avevo fame poi mi sedevo…”.

L’ideazione ansiosa è connessa ad un’accresciuta percezione dello stimolo di dover urinare, tensione muscolare, agitazione e abbozzati conati di vomito. A questi fenomeni il paziente mette riparo in genere attraverso l’attenzione selettiva e l’evitamento. Questi comportamenti mantengono in piedi il disturbo.

 

 

A

B

C

Seduto a tavola dai suoceri

Se non mi piace che cosa le dico, che succede?

Rimangono male e devo mangiarlo per forza

Cosa possono pensare gli altri di me?

(scenario peggiore?) Possono pensare di me: “Com’è viziato. Se non mi piace non so come dirlo, che non lo voglio, se non mi piace non riesco a  mangiarlo, se mi guardano non riesco.

Ansia 8