di Giulia Pelosi

Perché vi suggerisco di vedere il film “Rocketman” in onda su Netflix?

Di certo, non solo per conoscere l’autobiografiia dell’istrionico artista inglese Reginald Kenneth Dwight (Elton John) interpretato da un esilarante e pluripremiato Taron Egerton e nemmeno per la bellezza delle canzoni che vi ritroverete spesso a canticchiare cogliendone ogni sfumatura emotiva indipendentemente se il genere vi piaccia o meno, ma perché è una pellicola che porta sugli schermi la storia di una psicoterapia di successo.

Tutto ha inizio in un setting terapeutico di gruppo dove la pop star inglese racconta la sua storia caratterizzata da un’infanzia che potremmo definire da alcuni punti di vista regolare, anzi, come affermerà lui “un’infanzia molto felice”.

In realtà quello in cui è cresciuto Reggie, questo il suo nome da piccolo, è un ambiente che Marsha Linehan descriverebbe invalidante. La madre, una figura presente ma troppo spesso svalutante, una donna frustrata e insoddisfatta della sua vita e del suo matrimonio. Il padre, distante, rigido, rifiutante nell’entrare in contatto con un figlio che evidentemente proprio non desiderava. Un uomo che alla prima occasione (il tradimento della moglie) lascerà per sempre casa senza nemmeno salutarlo, per poi risposarsi e avere altri due figli con i quali mostrerà tutt’altro stile di accudimento.

Reggie ha solo due risorse a cui aggrapparsi, un pianoforte e la nonna.

La nonna rappresenta l’unica figura supportiva e amorevole dell’artista la quale, nonostante le molteplici invalidazioni e svalutazioni della madre, riuscirà a portare il nipotino prodigio alla Royal Academy of Music.

Per Reggie si prospetta una carriera sfavillante che lo porterà velocemente dalle stelle alle stalle, in quanto più la sua fama aumenterà, più si sentirà tremendamente solo e non amato. La sensazione è quella di essere diverso, difettoso, non amabile pur non desiderando altro che esserlo e per questo governato da un profondo sentimento di vuoto.

“Stai scegliendo di stare da solo per sempre. Nessuno ti amerà mai come si deve”

Queste le parole dette al telefono dalla madre di fronte al coming out del figlio ormai famosissimo. La persona che più avrebbe dovuto sostenerlo, amarlo, proteggerlo e farlo sentire al sicuro è la stessa che confermerà la sensazione, già appresa dalle esperienze dell’infanzia, di non poter essere amato.

Quelle tristi conferme saranno pugnalate dentro delle ferite mai chiuse che porteranno la star britannica ad anestetizzare il dolore coprendolo con ogni mezzo: abbuffate di cibo, droga, alcol, sesso promiscuo e shopping compulsivo.

Anche nella relazione sentimentale che intraprenderà con il suo produttore cinico ed arrogante, Elton, sperimenterà distanza emotiva e rifiuto.

Tutto ciò che lo circonda gli ricorda con assoluta crudezza che la sua strada è effettivamente una strada solitaria. Non ci sono concerti, applausi dei fan, party o serate che possono colmare quella sofferenza.

Nelle parole della sua canzone “Sorry Seems To Be The Hardest Word” possiamo cogliere tutta la disperazione nel percepirsi non degno di amore:

“What have I got to do to make you love me

What have I got to do to make you care

What do I do when lightning strikes me

And I wake to find that you’re not there?

What do I do to make you want me

What have I got to do to be heard…..It’s sad, so sad

It’s a sad, sad situation

And it’s getting more and more absurd

 

“Cosa devo fare per indurti ad amarmi

Cosa devo fare affinché io ti stia a cuore

Cosa faccio quando il fulmine s’abbatte su di me

E mi sveglio per scoprire che non ci sei?

Cosa devo fare perché tu mi voglia

Cosa devo fare per essere ascoltato…….E’ triste, tanto triste

E’ una triste, triste situazione

E sta diventando sempre più assurda”

 

É tanto triste e assurdo sì, ed è lì che arriva, per Reginald, a seguito di un infarto dovuto agli eccessi di una vita sregolata, la decisione di entrare in una clinica terapeutica per disintossicarsi.

Gradualmente si spoglia dai buffi costumi, lascia cadere le piume, le paillets luccicose, si toglie gli occhiali stravaganti e torna ad essere semplicemente Reggie, quel bambino che voleva solo essere abbracciato dal padre e desiderato come ogni figlio dovrebbe essere.

Il film riporta dei momenti in cui i ricordi vengono filtrati dal tempo, dalle emozioni e ovviamente dalla musica e in alcuni passaggi possiamo cogliere come una sorta di esperienza di Rescripting in cui avvengono degli incontri, dei dialoghi con la sua famiglia interiore e alla fine Reginald riuscirà ad abbracciare “il piccolo Reggie”.

Ed è questa la scena più emozionante che ripaga di tutto, un Elton John “Adulto Sano” riunito con la sua parte interiore bambina, sobrio, lucido e finalmente amato.