Disorganizzazione dell’attaccamento e Disturbo Borderline di Personalità

Disorganizzazione dell’attaccamento e deficit nello sviluppo metacognitivo

Una linea di ricerca di grande interesse teorico e clinico connette l’insicurezza nell’attaccamento in generale, e la DA in particolare, a deficit nello sviluppo e nell’esercizio delle funzioni metacognitive. Un serio deficit nel monitoraggio metacognitivo è caratteristico delle relazioni al cui interno compare la DA (Main ed Hesse, 1992). Anche un’altra funzione dipendente dalla metacognizione, la capacità del Sé di riflettere sugli stati mentali (pensieri, emozioni, convinzioni, ricordi) come entità discrete, relative e soggettive, sembra particolarmente compromessa nelle relazioni di attaccamento insicuro, e quindi anche di attaccamento disorganizzato (Fonagy, 2000). Certamente la sicurezza dell’attaccamento nel primo anno di vita è correlata con la capacità di superare fra i tre e i cinque anni, i compiti di falsa credenza che dimostrano l’avvenuta costruzione, da parte dei bambini, di una Teoria della Mente. Dunque i bambini, con attaccamento sicuro, mostrano, rispetto ai bambini con attaccamento insicuro e disorganizzato, una facilitazione delle funzioni metacognitive implicate nella distinzione fra apparenza e realtà, su cui si basano i compiti di falsa credenza. Adolescenti con storie indicative di DA mostrano una minore capacità di pensiero logico-formale rispetto ai coetanei di uguale intelligenza ma con storie di attaccamento sicuro o insicuro-resistente e insicuro-evitante. Inoltre, uno studio di Carlson (1997) ha evidenziato come adolescenti che erano stati disorganizzati nell’attaccamento precoce venivano considerati dagli insegnanti più portati ad “assentarsi mentalmente”, cioè ad entrare in uno stato di attenzione e coscienza simile ad una trance spontanea: anche tale propensione a stati dissociativi della coscienza è indicativa di ridotto o disfunzionale uso delle capacità metacognitive.

Il monitoraggio metacognitivo e la capacità di riflettere sugli stati mentali propri ed altrui sono pre-condizioni essenziali per regolare e modulare l’esperienza emotiva tanto in solitudine che durante gli scambi interpersonali. La metacognizione e la teoria della mente sono, dunque, al centro di quel sistema mentale di regolazione delle emozioni che Linehan (1993) considera deficitario nel suo modello del DBP. Solo grazie alle capacità metacognitive è possibile disporre, nel corso dello sviluppo, degli strumenti mentali che secondo Linehan costituiscono il sistema di regolazione delle emozioni.

Disorganizzazione dell’attaccamento come nucleo del DBP

Sul nucleo centrale da cui dipende la coesistenza, nella stessa persona, dei diversi criteri diagnostici con cui il DSM-IV permette di identificare il DBP, è stato scritto molto.

Adottando una prospettiva cognitivo-evoluzionista si può riconoscere come valide le tesi centrali di due tipi di modelli teorici del DBP, apparentemente opposti e secondo alcuni inconciliabili fra loro (Liotti, 1999b, 2000).

La più nota teoria psicoanalitica vede il nucleo del DBP in un conflitto fra pulsioni libidiche ed aggressive, insorto nei primi due anni di vita e affrontato attraverso un meccanismo di difesa primitivo, la scissione. La scissione impedisce di confrontare fra loro, nella coscienza, le rappresentazioni positive e negative di sé e delle altre persone (Kernberg). Nell’ambito delle psicoterapie cognitive, invece, il modello di Marsha Linehan del DBP (1993) afferma, come accennato in precedenza, che il nucleo del disturbo consiste in un grave deficit del sistema di regolazione delle emozioni. A causa di tale deficit, tutte le emozioni tendono a manifestarsi con eccessiva intensità, sia nell’esperienza soggettiva che nel comportamento e nella comunicazione. Il paziente non ha in tal modo la capacità di richiamare alla mente, nei momenti di stress emotivo, immagini tranquillizzanti. Ne deriva un’estrema vulnerabilità alle esperienze emotive dolorose, e dunque l’instabilità emotiva e dell’umore tipica del disturbo. Anche i deficit di monitoraggio metacognitivo e di Teoria della Mente, da molti postulati come tipici nel DBP, concorrono alla disregolazione dell’esperienza emotiva.

La disorganizzazione dell’attaccamento fornisce un modello unitario dei due principali disturbi nucleari ipotizzati per la patologia borderline dalla teoria psicoanalitica di Kernberg e da quella cognitivo-comportamentale di Linehan (Liotti, 1999). La molteplicità rappresentativa di sé, come visto in precedenza, e la carente funzione di regolazione delle emozioni dolorose (connessa al deficit metacognitivo) appaiono infatti come due aspetti di quel particolare sviluppo intrapsichico e relazionale che è l’AD. Dunque, il modello basato sulla DA è in grado di dare ragione sia agli aspetti clinici del DBP spiegati bene dai modello psicoanalitico di Kernberg che a quelli spiegati dal modello di Linehan quali, ad esempio, impulsività, oscillazioni fra idealizzazione e svalutazione di sé e degli altri, senso di vuoto, collera immotivata ed intensa, comportamenti autolesivi, reazioni affettive instabili ed intense. In aggiunta, il modello della DA mette in luce la dinamica interpersonale che potrebbe essere alla base delle esperienze e dei comportamenti tipici dei pazienti borderline. Questa dinamica interpersonale è ricollegabile all’attivazione del sistema motivazionale dell’attaccamento. Tale attivazione : [1] si produce inevitabilmente ogni volta che sia sperimentato disagio e vulnerabilità  personale; [2] comporta, quando è mediata dal MOI disorganizzato, interazioni emotivamente molto intense, e anche dolorose con gli altri a cui si tende a chiedere cura; [3] implica anche il rischio di terrorizzanti esperienze dissociative (sensazioni di annichilimento, stati alterati di coscienza) connesse all’ingestibilità, da parte delle funzioni integratrici della coscienza, delle rappresentazioni incompatibili simultanee di sé e dell’altro veicolate dal MOI disorganizzato. Verosimilmente, oltre a sviluppare uno stile di relazione instabile ed emotivamente intenso, chi abbia ripetutamente tale esperienza dolorosa inerente all’attivazione del sistema dell’attaccamento, tenderà ad inibire difensivamente tale sistema. Per farlo esistono due possibilità: lo sforzo di raggiungere una condizione di distacco emotivo e l’attivazione surrettizia di altre modalità di relazione, diverse dall’attaccamento, quando si avverta la propria vulnerabilità (ad esempio modalità seduttivo-sessuali, modalità competitive). Possono così prodursi esperienze di distacco emozionale (il senso di vuoto che spesso i pazienti borderline riferiscono), tendenze a comportamenti sessuali promiscui e rischiosi, esplosioni immotivate di collera competitiva. Nello sforzo di raggiungere un distacco emozionale è poi possibile che il paziente impari ad utilizzare stimoli che lo “distraggano” dal disperato bisogno di un conforto mai raggiungibile (abusando di cibo, droghe, alcool o impegnandosi in comportamenti rischiosi) (Liotti, 1999b, 2001).

Implicazioni per la psicoterapia

Il terapeuta che utilizzi il modello dell’AD, integrante i modelli psicoanalitico e cognitivo-comportamentale, può mirare tanto all’aumento delle capacità meta cognitive del suo paziente (ad esempio procedendo alla validazione dell’esperienza emotiva come suggerito da Linehan), quanto mirare all’integrazione di rappresentazioni scisse di sé (Cotugno, 1995).

Sapendo che la maggior parte delle difficoltà relazionali e delle esperienze soggettive abnormi del paziente borderline sono riconducibili, in ultima analisi, all’attivazione del sistema di attaccamento, il terapeuta può trarre notevoli vantaggi dal prestare particolare attenzione ai modi con cui la dimensione motivazionale dell’attaccamento viene implicata nella relazione terapeutica.  In questa prospettiva è possibile anche comprendere il valore delle co-terapie nel ridurre il rischio di drop-out durante la psicoterapia degli stati borderline. Un esempio è offerto dal doppio setting, individuale e di gruppo, con due diversi terapeuti, previsto dal modello di Linehan. La co-terapia, secondo il modello della DA, previene il rischio che il terapeuta venga percepito assolutisticamente e drammaticamente come pericoloso o come impotente. Una tale percezione è inevitabile all’interno del triangolo rappresentativo “Salvatore-Persecutore-Vittima”, connesso a sua volta alla riattivazione, nella relazione terapeutica, del MOI di AD. Essendo i bisogni di attaccamento del paziente rivolti a due diversi terapeuti, in collaborazione tra loro e che seguono un modello teorico unitario), il sistema motivazionale non si attiva verso nessuno dei due con intensità paragonabile a quella che ci si potrebbe attendere nel caso fosse un solo terapeuta la fonte di ogni speranza e conforto. Non sperimentando con continuità ed alta intensità l’attivazione del sistema dell’attaccamento, è meno probabile che il paziente sperimenti gli stati di disorientamento e le rappresentazioni mutevoli e minacciose di sé e dell’altro connessi al MOI disorganizzato. Di conseguenza, se queste esperienze penose non si producono all’interno della relazione terapeutica, è meno probabile che il paziente borderline abbandoni la terapia (Liotti, 1999b).

Nel modello cognitivo-evoluzionista di terapia integrata individuale e di gruppo il triangolo drammatico è, insieme ai sistemi motivazionali, lo strumento terapeutico d’elezione, attraverso cui diventa possibile analizzare il processo relazionale non solo da parte del terapeuta, ma anche da parte del paziente (Ivaldi, 2004). L’uso del triangolo drammatico agevola la possibilità di vivere un’esperienza emotivamente correttiva durante il lavoro terapeutico, facilitando la capacità di auto-osservazione e la meta comunicazione nei pazienti. Secondo questo modello, lavorare sul processo relazionale terapeutico, quando è ipotizzabile per il paziente una disorganizzazione dell’attaccamento, significa essenzialmente lavorare sul contratto terapeutico. In una fase iniziale il terapeuta deve definire il setting, per proteggerlo il più possibile dalle interferenze, a volte ingestibili, delle convinzioni patogene del paziente. In una fase più avanzata di terapia sarà possibile utilizzare, dopo averlo spiegato, il triangolo drammatico insieme al paziente. Il setting di gruppo, d’altra parte, favorisce molto il lavoro sul processo terapeutico e alcuni strumenti, fra cui il triangolo drammatico trovano in questo contesto terapeutico la loro migliore espressione. I pazienti nel gruppo, oltre che il terapeuta, hanno la possibilità di riflettere meglio su ciò che sta accadendo, non essendo sempre coinvolti direttamente nell’interazione con un altro. Inoltre è possibile nel gruppo modificare le proprie distorsioni interpersonali, confrontando le proprie valutazioni interpersonali con quelle degli altri. Questo sembra essere molto efficace e accessibile per pazienti con un attaccamento disorganizzato, rispetto a quanto accade nel contesto individuale, dove le distorsioni interpersonali dovute all’attivazione del MOI dell’attaccamento disorganizzato sono più invalidanti (Ivaldi, 2004).

Bibliografia

Attili, G. (2001). Maltrattamento infantile e attaccamento: l’organizzazione filogenetica del pattern disorganizzato. Maltrattamento e abuso all’infanzia, 3, 49-60.

Bowlby, J. (1969). Attachment and loss vol. I. London: Hogarth Press. Trad it. Attaccamento e perdita vol. 1. Torino: Boringhieri, 1972.

Bowlby, J. (1973). Attachment and loss vol. 2. London: Hogarth Press. Trad it. Attaccamento e perdita vol. 2. Torino: Boringhieri, 1975.

Bowlby, J. (1980). Attachment and loss vol.3. London: Hogarth Press. Trad it. Attaccamento e perdita vol. 3. Torino: Boringhieri, 1983.

Bowlby, J. (1988). A Secure Base. London: Routledge. Trad. it. Una base sicura. Milano: Raffaello Cortina, 1989.

Bretherton, I. & Munholland K. A. (1999). Internal Working Models in Relationship. A Construct Revisited. In Cassidy,  J. & Shaver P.R. (eds) Handbook of Attachment: Theory, Research and Clinical Applications. New York: The Guilford Press. Trad. it. Modelli Operativi Interni nelle Relazioni di Attaccamento. Una Revisione Teorica. In Cassidy,  J. & Shaver P.R. (a cura di), Manuale dell’attaccamento: teoria, ricerca ed applicazioni cliniche. Roma: Fioriti, 2002.

Cassidy,  J. & Shaver P.R. (1999). (eds) Handbook of Attachment: Theory, Research and Clinical Applications. New York: Guilford Press. Trad. it. Cassidy,  J. & Shaver P.R. (a cura di) Manuale dell’attaccamento: teoria, ricerca ed applicazioni cliniche. Roma: Fioriti, 2002.

Cotugno , A. & Monticelli,  F. (1995). Disturbi dissociativi e Disturbo Borderline di Personalità: Analogie e differenze. In Cotugno, A. & Intreccialagli, B. Una sola moltitudine. Roma:  Melusina, 1995.

Dozier, M., Stovall K.C. & Albus K.E. (1999). Attachment and Psycopatology in Adulthood In J. Cassidy, P.R. & Shaver (eds.), Handbook of Attachment: Theory, Research and Clinical Applications. New York: Guilford Press. Trad. It. L’attaccamento e la psicopatologia nell’età adulta. In Cassidy,  J. & Shaver P.R. (a cura di) Manuale dell’attaccamento: teoria, ricerca ed applicazioni cliniche. Roma: Fioriti, 2002.

Fonagy, P. (2000). Attaccamento, sviluppo del Sé e sua patologia nei disturbi di personalità consultabile sul sito internet: www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/fonagy-1.htm.

Holmes, J. (1993). John Bowlby and Attachment Theory. London: Routledge. Trad. it. La teoria dell’ attaccamento. John Bowlby e la sua scuola. Milano: Raffaello Cortina, 1994.

Ivaldi, A. (2004). Il triangolo drammatico: da strumento descrittivo a strumento terapeutico. Cognitivismo Clinico, 1, 2, 108-123.

Linehan, M. (1993). Cognitive-Behavioral Treatment of Borderline Personality Disorder.  Trad. it. Trattamento cognitivo comportamentale del disturbo borderline. Milano: Raffaello Cortina, 2001.

Liotti, G. (1992). Disorganizzazione dell’attaccamento e predisposizione allo sviluppo di disturbi funzionali della coscienza. In Ammaniti, M. & Stern, D.N. (a cura di). Attaccamento e psicoanalisi. Roma: Laterza.

Liotti (1999a). Disorganization of attachment as a model for understanding  dissociative psycopathology. In Solomon, J. & George, C. (eds). Disorganization of Attachment. New York: Guilford Press. Trad it. La disorganizzazione dell’attaccamento come modello per comprendere la psicopatologia dissociativa. In Solomon, J. & George, C. (a cura di) L’attaccamento disorganizzato. Bologna: Il Mulino, 2007.

Liotti (1999b). Il nucleo del Disturbo Borderline di Personalità: un’ipotesi integrativa. Psicoterapia 16, 53-65.

Liotti, G. ( 2001). Le opere della coscienza. Milano:Raffaello Cortina.

Liotti, G. (1994/2005). La dimensione interpersonale della coscienza.  Roma: Carocci.

Liotti, G., Intreccialagli, B & Cecere, F.(1991). Esperienza di lutto nella madre e predisposizione ai disturbi dissociativi della prole: uno studio caso controllo. Rivista di Psichiatria, 26, 283-291.

Liotti, G., Pasquini, P. et al. (2000). Predictive factors for Borderline Personality Disorder: Patien’s early traumatic experiences and losses suffered by the attachment figure. Acta Psychiatrica Scandinavica, 102, 282-289.

Lyons-Ruth, K., Bronfman, E. & Atwood, G., (1999). A relational diathesis model of hostile-helpless states of mind: expression in mother-infant interaction. In Solomon, J. & George, C. (eds). Disorganization of Attachment. New York: Guilford Press. Trad it. Gli stati mentali di ostilità e impotenza nell’interazione madre/bambino. In Solomon, J. & George, C. (a cura di)  L’attaccamento disorganizzato. Bologna: Il Mulino, 2007.

Lyons-Ruth, K. & Jacobvitz, D. (1999). Disorganization of Attachment. In Cassidy,  J. & Shaver P.R. (eds) Handbook of Attachment: Theory, Research and Clinical Applications. New York: Guilford Press. Trad. it. La disorganizzazione dell’attaccamento. In Cassidy,  J. & Shaver P.R. (a cura di) Manuale dell’attaccamento: teoria, ricerca ed applicazioni cliniche. Roma: Fioriti, 2002.

Main, M. (1991). Metacognitive knowledge, metacognitive monitoring and  singular (coherent) vs. multiple (incoherent) model of attachment. In Parkes, C.M., Stevenson-Hinde J. & Marris, P. (eds). Attachment across the life cicle. London: Routledge. Trad it. Conoscenza metacognitiva, monitoraggio metacognitivo e modello di attaccamento unitario (coerente) vs modello di attaccamento multiplo (incoerente).In Parkes, C.M., Stevenson-Hinde J.&  Marris, P. (a cura di). L’attaccamento nel ciclo di vita. Roma: Il Pensiero Scientifico, 1995.

Main, M. (2008). L’attaccamento. Dal comportamento alla rappresentazione. Milano: Raffaello Cortina.

Main, M. & Hesse, E. (1992). Attaccamento disorganizzato/disorientato nell’infanzia e stati mentali dissociati dei genitori. In Ammaniti M., Stern D.N., (a cura di). Attaccamento e psicoanalisi. Roma:Laterza.

Pallini, S. (2008). Psicologia dell’attaccamento. Processi interpersonali e valenze educative. Milano: Franco Angeli.

Pasquini, P., Liotti, G. & The Italian Group for Study of Dissociation (2002). Risk Factors in the Early Family Life of Patients Sufferinf from Dissociative Disorders. Acta Psychiatrica Scandinavica, 105, 110-116.

Solomon, J. & George, C. (eds) (1999). Disorganization of Attachment. New York: Guilford Press. Trad. it. L’attaccamento disorganizzato. Bologna: Il Mulino, 2007.

 

 

 

Dott.ssa Maria Angela Di Noia

Studio di Psicologia e Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale, Roma

Specializzata APC Roma, Training L. Isola, M.A. Reda

e-mail: mariangela.dinoia@tiscali.it

 

 

Per comunicare con l’autore potete scrivere alla mail personale, se fornita, o a quella della rivista: psicoterapeutiinformazione@apc.it

 

 

Psicoterapeuti in-formazione è una rivista delle scuole di formazione APC (Associazione di Psicologia Cognitiva) e SPC (Scuola di Psicoterapia Cogntivia). Sede: viale Castro Pretorio 116, Roma, tel. 06 44704193 pubblicata su www.psicoterapeutiinformazione.it