di Stefania Piluso

Le donne hanno la lingua lunga. Ma non tutte …

La diagnosi di cancro e il pensiero che può far soffrire più della malattia

 

Riassunto

Stefania è una donna di 45 anni. Dopo la diagnosi di cancro alla lingua, scopre che il pensiero può far soffrire più della malattia in sé. In questo scritto racconta il continuo rovello mentale degli scenari delle possibili conseguenze della patologia e il bisogno di un sostegno psicoterapeutico che la aiuti a distinguere il reale dagli ipotizzati e temuti scenari catastrofici su quello che potrà accadere.

La malattia è, però, anche l’inizio di un nuovo modo di vedersi e vivere la propria vita, facendo tesoro di ogni momento, alla riscoperta, o forse scoprendo per la prima volta, la dolcezza di accettarsi, proteggersi, stimarsi, accudirsi e volersi bene.

“Si un po’ si sente quando pronunci la erre e la esse, un po’ si sente”. Sul momento la moglie gli dà una gomitata, dopo gli farà la solita ramanzina. Lei è la mia più cara amica e lui suo marito.

Io sono la proprietaria della lingua (amputata quattro mesi fa’ nella sua parte laterale destra a causa di un brutto carcinoma). Lingua che fa del suo meglio per dire le consonanti ma a cui non posso chiedere quello che non può più dare visto che manca del suddetto pezzetto evidentemente molto importante per dire bene la erre, la esse, la enne….

Erre, esse un po’difficoltose, lingua tagliuzzata acciaccata e ricucita: non importa perché io sono tanto contenta lo stesso. Poi con l’amica preziosa che ho e che mi è stata sempre accanto non mi sono mai sentita sola e abbandonata.

Avuta l’infausta prognosi, all’inizio è stata dura.

C’è chi mi ha terrorizzato con l’ipotesi di asportazione della mandibola, chi con lo strappamento totale della lingua, chi con lo svuotamento completo del collo.

Dopo il colloquio col chirurgo tutto si ridimensiona e apprendo che forse parlerò con “la patata in bocca” e che forse mi risveglierò dall’intervento con un buchino nella trachea per respirare che in seguito il chirurgo provvederà a richiudere.

Tutto qui.

Certo, un tutto qui molto relativo, ma bisogna vedere di cosa si sta parlando!

Perché in fin dei conti l’avvertire una certa difficoltà a pronunciare certe lettere, una leggera mancanza di sensibilità nella parte operata, la necessità di alimenti un po’ morbidi, il controllo oncologico ogni mese e l’ecografia al collo ogni tre non sono nulla rispetto agli scenari terrificanti a cui avevo pensato.

Ecco appunto il pensiero!

Quello che mi ha davvero fatto star male è stato il precorrere i tempi col pensiero, l’andare oltre con la fantasia prevedendo un futuro orribile di mutilazioni devastazioni fisiche e funzionali, immaginando ipotesi assolutamente umanamente non sostenibili.

“Più che la morte temo di diventare brutta”, “come posso vivere senza parlare? Come mi posso far capire?” dicevo disperata alla mia amica.

Poi con la psicoterapeuta costruiamo possibilità, futuri percorsi possibili e scopro che se non posso parlare posso ancora scrivere su foglietti, sul cellulare, sul computer, sui blog, perché la capacità di pensare, meditare, immaginare, sperare che non sarà offesa.

Se mi tolgono la mandibola posso ancora fare molte cose che mi piacciono: camminare, disegnare le ballerine, leggere, andare al cinema, al teatro, seguire i corsi, guardare la tv, informarmi.

Con lei scopriamo anche che la mandibola la ricostruiscono e anche la lingua, perché la chirurgia ricostruttiva oncologica ha fatto passi da gigante.

Visto che parlo bene, mi alimento normalmente, faccio una vita normale, comincio allora a pensare che tanto il cancro ritorna, che non c’è scampo perché le recidive sono sempre lì pronte a ricomparire come le monete false.

Con la psicoterapeuta scopriamo che c’è anche un’alta percentuale di guarigione e che io potrei rientrarvi, perché no?

Decidiamo che un po’ d’ansia è più che lecita in una situazione come la mia, che la paura sta nell’ordine delle cose e che non va allontanata ma accolta e compresa.

Invece quello che devo imparare a gestire e fronteggiare è il pensiero, tutto l’insieme di fantasie sul futuro che io mi invento da sola col loro strascico di scenari orrendi, perché queste non sono reali dato che, al momento la realtà è quella di una situazione assolutamente buona. Mi esercito a de-fondere il pensiero dalla realtà, a ragionare sul fatto che posso evitare di star male se comincio a separare i problemi veri oggettivi dalle fantasie che mi invento sul futuro, a capire che quei pensieri sono solo pensieri, quelle immagini sono solo immagini, innocue e non possono farmi del male.

 

Per comunicare con l’autore potete scrivere a: psicoterapeutiinformazione@apc.it

Psicoterapeuti in-formazione è una rivista delle scuole di formazione APC (Associazione di Psicologia Cognitiva) e SPC (Scuola di Psicoterapia Cogntivia). Sede: viale Castro Pretorio 116, Roma, tel. 06 44704193 pubblicata su www.psicoterapeutiinformazione.it

 

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