Introduzione al concetto di assertivita’

Quando si parla di “assertività” i nomi che vengono citati sono Wolpe (1958), Salter (1949), Lazarus (1971), Potter (1952) ma diamo uno sguardo al passato per saperne di più.

Le tecniche attuali per l’addestramento assertivo si basano perlopiù sugli scritti di Wolpe (Wolpe, 1958, 1969; Wolpe e Lazarus, 1966) e, in grado minore, sugli scritti di Salter.

In realtà Salter psichiatra americano (1949,1964) a partire dallo studio delle teorie di Pavlov scrive un testo dal titolo Conditioned Reflex Therapy (la Terapia del Riflesso Condizionato, pubblicato nel 1949) ed è il primo lavoro importante ad evidenziare il  profilo del comportamento assertivo.

Secondo Salter quando un bambino nell’infanzia viene punito ripetutamente per alcuni suoi comportamenti sociali, e poiché il comportamento umano corrisponde all’eccitazione, questi comportamenti vengono inibiti e da adulto svilupperà una personalità inibita. Salter propone quindi di aumentare l’eccitazione con l’uso di alcuni esercizi che vengono compiuti in seduta, raccomandava dei metodi assertivi (la sua definizione era eccitanti) per virtualmente ogni disturbo psicologico pensabile e per ogni cliente che veniva riconosciuto come sofferente di inibizioni.

Nel suo lavoro Salter aveva proposto 6 esercizi (Salter 1949):

1.uso di un linguaggio emozionale che secondo Salter includeva la pratica di esprimere letteralmente qualsiasi sentimento, addestrando la persona a parlare dei propri sentimenti e delle proprie emozioni;

2.uso di un linguaggio mimico facciale, con la pratica di fare movimenti facciali che normalmente accompagnano le emozioni per arrivare ad utilizzare l’espressione facciale coerentemente al contenuto dell’espressione dei sentimenti;

3.esercitarsi ad esprimere un’opinione contraddittoria quando si è in disaccordo, imparare quindi a sostenere un parere contrario a quello di un’altra persona;

4.esercitarsi nell’usare la parola “io”, non rifugiandosi come invece molte persone fanno dietro a giudizi impersonali, preferendo il parere degli altri o nascondendosi dietro a frasi ti tipo impersonale;

5.esercitarsi ad accettare un complimento, in tal modo a sapersi valorizzare e formulare apprezzamenti su se stessi;

6.esercitarsi ad improvvisare, imparare ad essere spontanei.

Il metodo di Salter includeva questi esercizi e una serie di esortazioni alla persona perché si comporti in modo più assertivo.

Nel 1959 J. Wolpe per primo usa il termine assertion che definisce come l’espressione esterna di tutti i sentimenti che non siano l’ansia. Wolpe non parla di soggetto inibito ma di persona che non sa come comportarsi in una determinata situazione, non necessariamente per un condizionamento di tipo avversivo ma potrebbe anche non avere mai imparato un comportamento alternativo o perché non ha avuto un modello di riferimento oppure perché non è stata abbastanza rinforzata.

Per una serie di ragioni sarà Wolpe e i suoi seguaci ad avere maggiore influenza rispetto a Salter, le ragioni potrebbero essere le seguenti:

·      Maggior probabilità che le scuole psichiatriche e psicologiche fossero più disposte a prendere in considerazione un approccio comportamentale o basato sull’apprendimento nel  1958 quando fu pubblicata la Psicoterapia tramite l’Inibizione Reciproca di Wolpe, piuttosto che nel 1949, dopo che vennero approfonditi gli scritti di Dollar e Miller (1950) sulla teoria psicodinamica, e il lavoro comportamentale di Skinner (1953) inizia ad avere una notevole influenza;

·      Essendo per Wolpe la desensibilizzazione sistematica e l’addestramento assertivo strettamente collegati e dato che la prima ebbe un’accettazione relativamente precoce  risultò facilitata anche l’accettazione dell’addestramento assertivo;

·      Salter si inimicò, con la sua tendenza a considerare il metodo assertivo come primo per ogni disturbo psicologico che fosse legato a sofferenze di inibizioni, la maggior parte dei clinici che in quei giorni avevano fatto grandi investimenti sul pensiero psicoanalitico.

Sia Salter che Wolpe utilizzavano l’addestramento assertivo, ma vi erano notevoli differenze tra i due, Wolpe infatti non riteneva che ogni cliente avesse bisogno in primo luogo dell’addestramento ed utilizzava tale strumento insieme ad altri quali il rilassamento e la desensibilizzazione. Inoltre, mentre Salter considerava l’assertività (eccitazione) come un tratto generalizzato, Wolpe non lo riteneva così.

Wolpe sosteneva che il semplice fatto che un cliente potesse non avere alcuna difficoltà, ad esprimere del risentimento o del dolore a un collega non assicurava in alcun modo che egli potesse comportarsi in modo simile con sua moglie.

E per ultimo, Wolpe si preoccupava molto delle conseguenze interpersonali (specialmente quelle negative) degli atti assertivi.

Altri due autori hanno contribuito in modo più o meno diretto alle tecniche di addestramento assertive dei nostri giorni. Uno è J.L.Moreno (1946, 1955) fondatore del psicodramma. Lo psicodramma implica la messa in scena di atteggiamenti e conflitti e in questo è molto simile alla strategia di recita di un ruolo, una delle principali tecniche assertive di Wolpe, anche se la meta dello psicodramma è generalmente quella della catarsi e della introspezione.

Un altro scrittore, anche se indirettamente collegato all’assertività è G. Kell (1955); viene da lui proposta una terapia del “ruolo fisso” in cui si chiede alla persona di cominciare a comportarsi come un individuo fittizio che sia libero dalle ansie e dalle inadeguatezze comportamentali che disturbano il cliente. Tale procedura assomiglia alle tecniche di ripetizione del comportamento usato nell’addestramento assertivo.

Ricordo poi il contributo di Lazarus (1971) che ha perfezionato il gioco dei ruoli sottolineando come sia fondamentale rappresentare attraverso la scena il comportamento alternativo fino alla scomparsa dell’ansia e comincia a riflettere sull’importanza del modeling nell’apprendimento dei comportamenti assertivi. Questo processo viene ripreso da Bandura che sottolinea in modo più chiaro il ruolo primo del modello per la modificazione dei comportamenti e che riconosce come l’espressione del corpo precede e stimola l’espressione dei sentimenti. Quindi la postura, la mimica facciale, la gestualità sono tutti antecedenti ai sentimenti che la persona vorrebbe provare.

Lieberman (1973) altro studioso di terapie assertive, le applica con risultati incoraggianti a pazienti psicotici e ritardati mentali. Nello stesso anno R.E.Alberti e M.H.Emmons mettono in risalto l’importanza di esprimere se stessi, ma allo stesso tempo di tenere conto dell’altro avendo ben presente i risultati a lungo termine.

Nel 1974 D.C. Rimm e J.S.Master applicano la terapia assertiva ai casi di frigidità, impotenza, vaginismo, omosessualità, con discreti risultati.

L’addestramento assertivo come si è visto nasce in ambito clinico rivolto al recupero dei gravi deficit comportamentali, tuttavia questi studi possono e trovano applicazione anche dove non si parli di patologia ma anche in presenza di una situazione in cui sia utile e funzionale una trasformazione, integrazione di quei comportamenti interpersonali presenti in modo discreto o da raffinare per permettere ed approfondire la conoscenza di se stessi e delle proprie potenzialità (ad esempio in ambito educativo ed aziendale).

Il comportamento non nasce da cause misteriose ma è il risultato dell’apprendimento; si tratta infatti di un processo grazie al quale ognuno di noi cresce e si sviluppa nel corso di tutta la vita. Ogni individuo non è il risultato esclusivo del proprio bagaglio ereditario (“quello che ha”), ma di “quello che è diventato”. L’individuo è in continua relazione con il proprio ambiente e riceverà dei messaggi che andranno ad essere fondamentali per l’immagine che lui avrà di se stesso e degli altri.

Il comportamento è il frutto di acquisizioni che sono stati ulteriormente esplorati dalla psicologia cognitivo-comportamentale in riferimento al condizionamento classico, operante e all’apprendimento per imitazione.

Quando si parla di comportamento assertivo, non si deve pensare ad una “scoperta moderna” ma probabilmente ad un aspetto già presente e insito nell’essere umano e che, grazie alla ricerca, dispone oggi di più precisa e sistematica descrizione.