Caratteristiche comuni dei Disturbi Alimentari

I criteri diagnostici per un disturbo del comportamento alimentare “classico”, come AN o BN, possono non essere soddisfatti a causa di una durata inferiore dei sintomi in termini di tempo, per una minore significatività clinica delle manifestazioni sintomatologiche o per una sovrapposizione di sintomi appartenenti a diverse categorie diagnostiche. Sarebbe tuttavia un errore sottovalutare questi disturbi partendo dal presupposto che non godono ancora di una chiara ed autonoma collocazione diagnostica, soprattutto alla luce di recenti dati statistici che stimano molto elevata la loro incidenza sul totale dei disturbi del comportamento alimentare. È  quindi, forse, più opportuno delineare delle caratteristiche, non identificative di un singolo disturbo alimentare, ma comuni a tutti i disturbi del comportamento alimentare sia classici che NAS.

Tra queste:

§  Bassa autostima: caratteristica più frequente spesso spinge gli individui a sovrastimare l’apparenza corporea, riponendo nel raggiungimento della migliore forma fisica aspettative irreali di successo e di realizzazione personale. Inoltre, contribuisce ad interpretare in maniera eccessivamente negativa eventuali “sconfitte” o “ricadute” alimentari, favorendo l’insorgere di un altro aspetto comune nei soggetti con disturbi alimentari, e cioè il “senso di colpa”.

§  Senso di colpa: l’imporre a se stessi una dieta troppo rigida stigmatizzando eventuali trasgressioni, non solo è un atteggiamento che favorisce l’accadimento di queste ultime, ma soprattutto rende facile l’insorgenza del senso di colpa per la non adempienza alle proprie prescrizioni innescando, dunque, un circolo vizioso (il soggetto alterna momenti di restrizione alimentare con altri di perdita di controllo), che porta allo sviluppo di pensieri e comportamenti perpetuanti l’obesità.

§  Sintomi depressivi: l’incapacità di adempiere ad una rigida prescrizione alimentare unita allo sperimentare numerosi fallimenti, a lungo termine, può favorire l’insorgenza di sintomi depressivi che, in alcuni casi, possono risultare così significativi da interferire con le attività affettive, sociali e lavorative dei soggetti. Inoltre, il probabile utilizzo del cibo come “antidepressivo”, tipico di questi soggetti, peggiora in maniera inesorabile la situazione.

§  Pensiero dicotomico: è il modo di pensare contraddistinto dal catalogare le cose in maniera estrema, cioè ”tutto o niente” comune alle persone con DCA e risulta  pericoloso poichè rafforza il senso di fallimento di fronte anche ad una piccola “ricaduta” alimentare, favorendo l’insorgenza dei sensi di colpa, l’insinuarsi e il successivo perpetuarsi dei sintomi depressivi.

§  Perfezionismo clinico: valutazione di Sé eccessivamente dipendente dall’inseguimento e dal raggiungimento determinato di standard personali esigenti ed autoimposti in almeno un dominio saliente (controllo su alimentazione, peso, studio) nonostante le conseguenze avverse (Dalle Grave, 2003). La persona pensa che potrà essere accettata solo a condizione di dare il massimo delle proprie possibilità senza la minima smagliatura. Il giudizio altrui viene considerato l’unico modo per stimare il proprio valore.

In un’ottica costruttivista i pazienti che rientrano nell’ambito diagnostico dei DCA vengono inquadrati in unico “continum”, in quanto condividono sia alcuni specifici meccanismi psicologici, sia le modalità di percepire la propria esperienza e di attribuirvi significati particolari. Si situano lungo il “continum” a seconda delle loro manifestazioni sintomatologiche, del livello di attività/passività, dell’attribuzione interna/esterna e in generale per uno stile di relazione campo-dipendente. Nell’anoressia vi sarebbe una modalità particolarmente attiva di affrontare la vita associata a un livello di motricità elevato; l’attribuzione causale di colpa sarebbe tipicamente esterna con atteggiamento di autosufficienza e di lotta a oltranza contro un mondo disconfermante. Al contrario, nell’obesità psicogena si riscontrerebbe una motricità rallentata, con una modalità particolarmente passiva di affrontare la vita; l’attribuzione causale di colpa sarebbe interna con senso pervasivo di sconfitta, per cui le delusioni e le disconferme vengono percepite come inevitabili e sempre imputabili a Sé. La Bulimia si troverebbe in una posizione intermedia, con ampie oscillazioni negli atteggiamenti che si alternano tra lo stile tipico dell’anoressia e quello dell’obesità. È per questo che molti autori preferiscono parlare di “Sindrome Anoressico – Bulimica”, di “Spettro dei Disturbi dell’Alimentazione” (Pancheri e Cassano, 1999), oppure secondo un più specifico punto di vista costruttivista, di organizzazione di significato personale di tipo “Disturbi Alimentari Psicogeni” (DAP) (Guidano, 1987 – 1991b; Arciero, 2002).

Il comportamento anoressico – bulimico sarebbe così un sintomo ambivalente e multideterminato: un tentativo disperato di ottenere ammirazione e conferma, di sentirsi unici e speciali, non importa se poi finisce con il procurare danno o punizione; un tentativo di opporsi alle eccessive aspettative altrui; un tentativo onnipotente di sviluppare, attraverso la disciplina del corpo e il controllo del cibo, un senso di autonomia e individualità (un’attività diversiva messa in atto per tentare di uscire da una dimensione psicologica ed esistenziale di dipendenza e impotenza). Questi fattori sarebbero accompagnati anche da tratti cognitivi caratteristici: errata percezione della propria immagine corporea; pensiero infantile di tipo “tutto o nulla”, perlopiù centrato solo sul presente; pensieri e rituali ossessivo-compulsivi; percezione della realtà sociale attraverso un pensiero di tipo magico-persecutorio (bisogno/paura di essere “visti”). Le abbuffate e l’uso di purganti si accompagnano a  molti altri comportamenti tendenzialmente o espressamente impulsivi o autodistruttivi, soprattutto nelle relazioni più intime e nella sessualità. Sempre più spesso si rileva, inoltre, l’abuso di molteplici sostanze psicoattive. La preoccupazione relativa al cibo e al peso diventa dunque una manifestazione piuttosto tarda, emblematica di un disturbo basilare del concetto di Sé. Infatti, la maggior parte di tali pazienti, riferisce di aver percepito da sempre interiormente la convinzione di essere completamente inadeguati e impotenti, incapaci di sostenere il giudizio degli altri. La percezione di un’interiorità vaga e indefinita favorisce una determinante dipendenza dall’ambiente (campo – dipendenza) che porta a cercare una stabilizzazione del senso di sé attraverso la ricerca spasmodica di un punto di riferimento esterno. La ricerca di approvazione da parte di una persona significativa, l’adesione ad un modello ritenuto prestigioso, l’adeguamento alle aspettative dell’altro e il perfezionismo volto alla prevenzione delle disconferme e dei rifiuti diventano il mezzo per strutturare un’accettabilità personale soddisfacente e sfuggire dalla sensazione di inconsistenza. Tuttavia, la percezione di sé che deriva dall’adesione a un criterio esterno rimane costantemente vaga, anche quando il soggetto sente di corrispondere ai desideri dell’altro. La  necessità di maturare un senso di coerenza interna talvolta rende questi soggetti iperattivi, spingendoli a impegnarsi freneticamente in molte attività, per evitare l’impressione di non sapere con certezza quello che vogliono dalla vita. Purtroppo questa strategia comporta il rischio di sentirsi ancora vuoti, indefiniti, inattendibili, con il risultato di orientarsi nuovamente verso un criterio esterno. (Blanco et al., 2005).