Il Trattamento Psicoterapeutico

Il trattamento del DAI comporta le difficoltà insite nel trattare contemporaneamente un disturbo della condotta alimentare e una condizione di obesità, presente nella maggior parte di questi pazienti. Se poi si considera che spesso il BED si presenta in comorbilità con altre psicopatologie, si aggiunge la necessità di trattare questi disturbi, oltre ai disturbi del Comportamento alimentare e all’obesità. (Blanco et al., 2005)

Finora sono state individuate essenzialmente due modalità di approccio al disturbo: l’Intervento Comportamentale e l’Intervento Cognitivo-Comportamentale (Ricca et al., 1998).

Le strategie più tradizionali dell’Intervento Comportamentale sono sovrapponibili a quanto descritto da Stunkard (1972 e successive modifiche 1979, 1985) e sono rappresentate da:

§  automonitoraggio alimentare: avviene mediante l’utilizzo di un diario da compilare giornalmente in cui vengono registrate la qualità e la quantità di cibo assunto, ma anche il tempo impiegato per mangiare, il luogo dove il cibo viene assunto, le situazioni ambientali che si associano a tale assunzione.

Studi più recenti nell’ambito della CBT (Wilson e Vitousek, 1999) rilevano come l’auto-monitoraggio sia un componente centrale sia nell’assessment  che nel trattamento dei disturbi alimentari poiché consente di avere una misura dettagliata del problema alimentare e, per il paziente, di avere dei feed-back sul proprio comportamento alimentare. Alcuni autori  (Yanovski e Sebring 1994) rilevano inoltre come vi siano differenze tra i diversi tipi di disturbi alimentari nell’accuratezza della compilazione del diario. È  emerso ad esempio che i pazienti con BED sono più accurati nel riportare l’introito calorico a differenza dei pazienti con la sola obesità. Tuttavia altre ricerche hanno dimostrato che sia il soggetto con BN che il soggetto con BED mostrano un bias verso l’etichettare episodi di alimentazione come abbuffate. Cioè tali persone spesso valutano come eccessivo il consumo anche di piccole quantità di cibo quando questo trasgredisce le loro ristrette regole alimentari. (Rossiter e Agras 1990). Inoltre Williamson et al. (1991) rilevano come i soggetti con BED spesso sovrastimano l’episodio di abbuffata a differenza delle persone con la sola obesità che tendono a minimizzare l’introito calorico assunto. 

§  controllo degli stimoli: è finalizzato all’apprendimento di strategie individuali che consentano di gestire meglio una serie di situazioni che favoriscono o scatenano l’assunzione di cibo. Usando le procedure di controllo degli stimoli, gli antecedenti di pattern alimentari disturbati vengono ridotti per includere solo quelli che promuovono un’alimentazione salutare. Per esempio il paziente può essere istruito a mangiare solo quando è seduto a tavola (e non davanti alla TV). Gli stimoli possono essere modificati utilizzando la pianificazione dei pasti o alterando il ritmo dei pasti e in generale modificando l’azione dell’eating (velocità, uso di utensili, masticazione)

§  TERP (Temptation with Exposure Response Prevention): a differenza della ERP (Esposizione con prevenzione della risposta), classicamente utilizzata nella bulimia e che cerca di prevenire comportamenti compensatori (vomito, etc) dopo aver mangiato, la TERP (Tentazione con Esposizione e Prevenzione della Risposta) si occupa di prevenire il Binge Eating sottoponendo la paziente all’esperienza sensoriale (odore, vista) di cibi favoriti prevenendo l’abbuffata (Williamson D.A et al.,1999).

§  tecniche diversificate di rinforzo del comportamento (per es. utilizzando un sistema a punteggi).

§  Con l’avvento del cognitivismo l’attenzione viene spostata sui processi di funzionamento mentale e sul finire degli anni ’80 prende corpo il concetto di “ristrutturazione cognitiva” che insieme all’uso di tecniche metaforiche e successivamente al problem solving e il decision-making vengono applicati al trattamento dell’obesità (Perri et al. 1992).     

La componente cognitiva della terapia focalizza l’attenzione sul riconoscimento e modifica di pensieri, credenze e aspettative disfunzionali che predispongono a travisare le proprie esperienze. Tale metodo è chiamato ristrutturazione cognitiva. Utilizzando questo metodo, i pensieri irrazionali sono identificati, messi alla prova, discussi e sostituiti con alternative più realistiche di pensiero.

Le tecniche metaforiche (Brownell, 1991) vengono inserite nella ristrutturazione cognitiva poiché danno la possibilità di trasmettere istruzioni in modo non direttivo, attenuando l’aspetto di critica o giudizio permettendo una comprensione intuitiva di fenomeni difficili da capire e comunicando qualcosa senza rivolgersi direttamente alla persona

La Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT), in generale, sia individuale che di gruppo è incentrata su:

§  informazione del paziente circa il cibo, gli alimenti e i sistemi metabolici coinvolti;

§  analisi del comportamento alimentare tramite automonitoraggio quotidiano (diario alimentare) e controllo settimanale del peso;

§  riconoscimento delle connessioni tra cognizioni, affetti e comportamento.

§  educazione all’autocontrollo e all’osservazione del proprio modo di assumere il cibo in rapporto a pensieri ed emozioni;

§  individuazione dei principali meccanismi psicologici che conducono all’abbuffata e modificazione di questi.

Rispetto all’intervento comportamentale tradizionale, l’introduzione, sia nella fase di assessment che di terapia, delle variabili cognitive ed emotive connesse con il problema alimentare, consentirebbe una comprensione più ampia dell’aspetto da curare e presuppone l’utilizzo di strategie terapeutiche (tecniche di problem-solving, decision making e di ristrutturazione cognitiva) che tengano conto di questi parametri. I risultati sembrano indicare come, nel medio e lungo periodo, l’approccio cognitivo-comportamentale favorisca un mantenimento dei risultati ottenuti nei primi mesi di terapia, a differenza di quanto risulta dalle indagini di follow-up sull’approccio comportamentale tradizionale (Casacchia M. et al., 2000).

La CBT agirebbe  attraverso vari meccanismi ipotetici (Wilson e Fairburn, 1993):

§  Modificando le attitudini abnormi verso peso e forme corporee riduce la frequenza delle abbuffate e del vomito;

§  Riducendo la restrizione dietetica che a sua volta riduce il binge-eating. Ad un livello cognitivo la riduzione della restrizione dietetica è importante perché dissolve il pericolo del pensiero tutto-o-nulla rispetto al cibo;

§  Aumentando l’auto-efficacia poiché, facendo mangiare diversi tipi di cibo, senza perdere il controllo, aiuta a fronteggiare quelle situazioni che elicitano il binge eating: l’aumento dell’auto-efficacia è associato a diminuzione del binge eating;

§  Attraverso l’esposizione ai “ cibi proibiti” (all’interno di pasti regolari) estinguendo l’ansia che segue all’ introito di questi;

§  bloccando, attraverso lo sviluppo di abilità di coping e il problem solving,  lo schema di azione del Binge eating che si attiverebbe in risposta a  specifiche situazioni.

Considerata l’elevata incidenza di obesità in soggetti con BED, sarebbe opportuno prestare un’attenzione particolare al problema “obesità”, attraverso un approccio complementare, aggiuntivo, a quello utilizzato per il BED. A tal riguardo alcuni autori (Faith M.S. et al., 2000) propongono un approccio comportamentale al problema dell’obesità secondo più livelli che partono dalla modifica del peso corporeo all’accettazione del sovrappeso e si rivolgono sia al singolo che ai gruppi e alla società. Secondo tali autori l’intervento comportamentale dovrebbe provvedere a fornire in un primo momento quelle abilità per ridurre e mantenere il peso, successivamente promuovere e incrementare l’attività fisica e infine, intervenendo sul versante dell’accettazione dell’obesità, fornire a tali soggetti quelle competenze cognitive e comportamentali per fronteggiare la discriminazione sociale verso l’obesità. Gli autori prevedono altresì la promozione a livello sociale sia di abitudini antitetiche allo sviluppo dell’obesità, sia di interventi volti a ridurre il pregiudizio e la discriminazione sociale sia volti all’accettazione attraverso una visione più complessa e non stereotipata della persona con obesità.

In conclusione, la terapia del DAI, analogamente a quanto osservato per AN e BN, risulta complessa, esige tempi lunghi e necessità di un approccio integrato (al centro del quale si colloca l’intervento psicoterapico cognitivo-comportamentale), indirizzato sia al disturbo della condotta alimentare sia alla condizione di sovrappeso/obesità, visto anche l’effetto reciproco di potenziamento delle abbuffate e dell’incremento ponderale.

La Rosa e Liotti (1995) rilevano però come pur essendosi rivelati efficaci in molti casi, i protocolli di TCC incontrano una elevata percentuale di insuccessi nei casi più gravi di DCA, e in particolare in quelli in cui sussiste una comorbilità con i disturbi dissociativi (DD) e i disturbi borderline di personalità (DBP). La comorbilità tra DCA e DD o DBP viene spiegata, come conseguenza di un deficit o un’anomalia dei processi metacognitivi (monitoraggio cosciente dei contenuti dell’esperienza soggettiva, integrazione di memorie in strutture coerenti di significato) ai quali sarebbero anche correlate le alterazioni dello schema corporeo. Secondo i due autori, per affrontare adeguatamente questi problemi insiti nel DCA, il terapeuta dovrebbe privilegiare una conduzione attenta alla relazione terapeutica rispetto al tentativo di correggere le anomalie di pensiero attraverso le tecniche classiche di terapia cognitiva. Il razionale di tale necessità si baserebbe sulla dimostrata dipendenza dei processi metacognitivi dalla qualità della relazione interpersonale, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza nell’attaccamento e la disposizione alla cooperazione paritetica in vista di obiettivi congiunti (come nella valida alleanza terapeutica).

Secondo La Rosa e Liotti, per ottenere una buona relazione terapeutica è necessario considerare, momento per momento, lo stato motivazionale del paziente, in rapporto ai cinque fondamentali sistemi di controllo del comportamento interpersonale (attaccamento, accudimento, competizione per il rango, sessualità, cooperazione).

Diversamente da quanto asserito in uno studio di Wilson et.al (2002) rispetto all’assenza di evidenze che supportino l’ipotesi che l’alleanza terapeutica (misurata attraverso HRQ) sia un mediatore di cambiamento nei disturbi alimentari, constatato sia su protocolli di trattamento CBT che di IPT, Blanco, Canestri e A.Reda (2005) ritengono di fondamentale importanza, durante i primi colloqui dell’intervento, porre particolare attenzione alla gestione della relazione terapeutica, cercando con il paziente sintonia, fiducia e collaborazione ponendo attenzione alla sensibilità di tali pazienti al giudizio altrui e alla spiccata tendenza a compiacerne le aspettative.

Inoltre tali autori suggeriscono di evitare contratti terapeutici finalizzati alla modificazione del peso corporeo, poiché, sostengono essere obiettivo sotto controllo assoluto del paziente e per questo aumenterebbe la possibilità di insuccesso. Ritengono inoltre che fissare obiettivi legati all’alimentazione potrebbe fuorviare dalla reale comprensione dei sintomi alimentari come strategia relazionale per fronteggiare una sensazione inconsistente e vaga di sé.

Blanco, Canestri e Reda sostengono dunque che solo dopo aver stabilito una relazione terapeutica collaborativa e sintonica, si possa procedere alla riformulazione del problema attraverso l’analisi dello scompenso psicopatologico e la dettagliata ricostruzione della storia clinica del paziente. Tale riformulazione che si articola in più fasi avrebbe l’obiettivo di evidenziare ciò che è sotteso al sintomo alimentare ovvero la drammatica sensibilità all’esposizione del giudizio altrui. Su tale assunto viene impostato il cambiamento terapeutico poiché costituirebbe ingrediente fondamentale del senso di un  Sé costruito interamente sulle conferme esterne. Per concretizzare questo obiettivo, il terapeuta guida il paziente da un contesto in cui l’esterno serve a spiegare l’interno a un contesto più soggettivo e esteriorizzato. L’incremento di consapevolezza degli stati interni determinerebbe una maggiore demarcazione dall’esterno e un miglioramento nella discriminazione tra i propri punti di vista e le aspettative dell’altro, fra le opinioni personali e altrui, in precedenza assunte come proprie. L’abbuffata, il digiuno o altri sintomi perderebbero così man mano di importanza in un processo di progressiva consapevolezza delle proprie caratteristiche cognitive, emotive, relazionali.

Utile strumento operativo a tale scopo viene identificato nella tecnica della “moviola” (Guidano 1991b) che consentendo l’identificazione e la consapevolezza degli stati emotivi (attraverso una ricostruzione a rallentatore, in piccole sequenze, di eventi emotigeni), ne facilita il loro riordinamento narrativo rispetto a situazioni vissute come perturbanti, permettendo di focalizzare e integrare meglio esperienze altrimenti confuse e/o disorganizzate.

Alla riformulazione del problema seguirebbe poi la ricostruzione dello stile affettivo, durante la quale il terapeuta fa rilevare come il disturbo alimentare abbia punteggiato e sottolineato l’intero andamento dei rapporti affettivi del paziente. In tali pazienti, il tema della delusione regola la formazione, il mantenimento e la rottura dei legami affettivi. Nella ricostruzione dello stile affettivo si assiste ad un riesame delle relazioni affettive ponendo attenzione alle caratteristiche invarianti attraverso cui vengono strutturati, mantenuti e conclusi i legami sentimentali. La definizione di tali caratteristiche invarianti consente un progressivo distanziamento dalle caratteristiche personali che il paziente riconosce come causa di disagio o di scompenso. Tale distanziamento si sviluppa in un processo di acquisizione di un senso di sé maggiormente individualizzato, la cui stabilità risulta relativamente indipendente dall’andamento delle relazioni affettive. Di solito la fine di questa fase sarebbe correlata ad un graduale miglioramento della sintomatologia alimentare. Va da sé che questo metodo comporta un notevole allungamento dei tempi della terapia.