Il trattamento delle “voci”

La base del trattamento della terapia cognitiva delle voci è lavorare in un’atmosfera di empirismo collaborativo, così da incoraggiare il paziente a percepire il proprio disagio come proveniente dalle credenze sulle voci piuttosto che una conseguenza automatica delle allucinazioni (A). Spesso stabilire una relazione terapeutica con persone che sentono le voci può essere molto complesso, forse perché sperimentano un evento attivante particolarmente disturbante come le allucinazioni. Esistono inoltre alcune paure relative alla terapia che possono compromettere il contratto terapeutico. Ad esempio, i pazienti possono essere preoccupati dal fatto che il terapeuta li possa controllare, magari forzando il ritmo della terapia. Un’altra preoccupazione dei pazienti con dispercezioni uditive è che il terapeuta non possa davvero comprendere cosa significhi sentire le voci e quindi non sia in grado di aiutarlo. In questo caso, utilizzando l’approccio ABC, è utile comunicare al paziente che può accadere che il terapeuta non sia in grado di comprendere cosa significhi sentire le voci (A), ma certamente può comprendere i modi in cui i pazienti attribuiscono un significato alle loro voci (B) e le emozioni ed i comportamenti ad esso collegati (C). Risulta utile inoltre, utilizzando la propria conoscenza sul fenomeno delle “voci” anticipare al paziente come egli potrebbe sentirsi, cosa potrebbe pensare o come potrebbe comportarsi.

 Un’ulteriore rischio per l’alleanza terapeutica è generato dai commenti delle voci nei confronti del terapeuta. In genere le fughe dalla terapia sono collegate a voci che esprimono ansia nei confronti del trattamento o del terapeuta (ad esempio “non ascoltare quel bastardo”, “ricordati la tua fede, non affidarti a lui”, o “se non ti uccide lui lo faremo noi”). Un modo per prevenire la rottura del lavoro terapeutico ed aumentare la credibilità del terapeuta consiste nell’anticipare al paziente la possibilità che le voci possano esprimere tali contro di lui.

      Prima di poter procedere al trattamento delle “voci” è necessario che il terapeuta ne abbia già fatto una valutazione cognitiva in termini di ABC. Si è già visto come  le risposte emotive e comportamentali del paziente (C) riflettano le credenze (B) sulle voci stesse  e non siano la conseguenza diretta delle allucinazioni (A). Si è visto inoltre come formalmente le credenze sulle voci siano dei deliri. Le credenze deliranti più significative sono quelle relative all’identità della voce, alla sua finalità, al suo potere, alle sue conoscenze e alle conseguenze della resistenza o accondiscendenza ad esse.

Discutere le credenze sulle voci

La terapia cognitiva delle voci è per molti aspetti simile alla terapia dei deliri e questo è una logica conseguenza dell’analisi che sostiene che le voci siano degli eventi attivanti (A) e che siano le credenze deliranti sulle voci (B) ad essere connesse ai disturbi comportamentali ed emotivi del paziente (C). Chadwick e Birchwood (1996) raccomandano di iniziare a lavorare innanzitutto sulle credenze che riguardano il potere delle voci e con le credenze relative al controllo e all’accondiscendenza. Questo perché sfidare le credenze relative al potere delle voci è per il paziente meno ansiogeno che sfidare  quelle relative all’identità e al significato. Se si ha successo, le voci vengono percepite come meno potenti mentre il paziente si sente più potente e più in grado di proseguire il lavoro di sfida. Un esempio della sfida alle credenze riguarda l’accondiscendenza ai comandi delle voci: è frequente che il paziente creda che le voci gli faranno del male se non ubbidirà o non presterà loro maggior attenzione, ma in realtà ha probabilmente già avuto modo di verificare come questo sia in contraddizione con la propria esperienza. Ogni singola contraddizione va portata all’attenzione del paziente, proponendo l’ipotesi che la credenza sia sbagliata. Analogamente, molti pazienti ritengono che le voci siano onniscienti e questo viene portato come prova del fatto che l’identità delle voci è sovraumana. Per dare inizio al processo di messa in discussione, il terapeuta deve proporre al paziente di considerare falsa la propria credenza, anche solo per un momento, ed ipotizzare spiegazioni alternative alla presunta onniscienza della voce. A questo punto, entrambe le ipotesi (la credenza delirante e la nuova ipotesi esplicativa) vanno sottoposte alla prova empirica.