Il trattamento cognitivo dei deliri e delle voci

Chadwick e Birchwood (1996) identificano due requisiti di base per una psicoterapia efficace: il primo di questi è l’uso di una buona strategia relazionale in modo da stabilire una buona alleanza terapeutica ed ottenere un empirismo collaborativo dal paziente (Beck, 1979).

Il secondo requisito consiste in una conoscenza approfondita dei principi della teoria cognitiva, della sua applicazione clinica e dell’utilizzo del modello ABC.

L’alleanza terapeutica con il paziente psicotico

Uno dei problemi fondamentali nella terapia con i pazienti psicotici riguarda la strutturazione di una buon alleanza terapeutica. Gli autori evidenziano alcuni dei maggiori ostacoli alla relazione terapeutica:

§  il fallimento del terapeuta nello stabilire l’empatia a causa della difficoltà a comprendere le esperienze deliranti o allucinatorie del paziente. Questo ostacolo può essere superato, secondo gli autori, se si tiene conto del fatto che l’empatia non richiede che il terapeuta abbia sperimentato tutto ciò che il paziente ha vissuto, ma solo che riconosca e comprenda come egli si sente, cosa pensa e come si comporta.

§  Le credenze del terapeuta rispetto al paziente. Se il terapeuta ha la percezione che il comportamento psicotico sia al di là di ogni comprensione per lui, questo probabilmente si rifletterà sui suoi sentimenti e comportamenti nei confronti del paziente e sulle sue aspettative rispetto al cambiamento.

§  Anche il paziente entrerà in terapia con delle credenze che lo ostacoleranno nello stabilire una relazione. La maggior parte dei pazienti nutre dei timori generici nei confronti del terapeuta, che spesso derivano da precedenti esperienze difficili nell’ambito della sanità. E’ probabile inoltre che il paziente si aspetti che il terapeuta svaluti le sue credenze e le sue esperienze racchiudendole nella categoria “follia”. Il terapeuta deve tener presente che nella mente del paziente possono esserci tali aspettative, così da calibrare la maggior parte del comportamento iniziale in terapia per rassicurare il paziente, ma in modo graduale e implicito.

§  E’ possibile che molti pazienti abbiano avuto una storia di relazioni interpersonali aride e che, pertanto, possano vivere la relazione terapeutica come troppo stressante ed essere estremamente vigili nei confronti di ciò che percepiscono come un comportamento minaccioso o rifiutante da parte del terapeuta. In questo caso è necessario utilizzare il setting terapeutico in modo flessibile, conducendo colloqui più brevi e più frequenti, a volte in modo informale, evitando i silenzi prolungati ed evitando di insistere con il paziente affinché esponga le proprie idee deliranti.

§  Uno dei maggiori problemi nella relazione terapeutica con pazienti psicotici riguarda il considerare i deliri come credenze e non come fatti e sviluppare una base razionale per contestare il delirio. Se nella terapia dell’ansia o della depressione i pazienti spesso lottano per rendersi conto che il loro senso di inutilità, che a loro appare concreto, in realtà è una loro credenza, con i deliri questa consapevolezza non c’è ed il terapeuta può essere visto come una delle tante persone che diffidano del paziente e che cercano di convincerlo della falsità delle sue convinzioni. Perciò, il terapeuta deve accettare l’eventualità che il paziente non alteri le proprie credenze, ma ciò nonostante, lavorare in un’ottica di empirismo collaborativo ed utilizzare il dialogo socratico per fare in modo di poter aiutare il paziente ad elaborare i propri dubbi e a fare delle esperienze in modo da capire che possono esistere altri modi per comprendere ed elaborare le sue esperienze. “A coloro che hanno esperienze primarie come le allucinazioni uditive, viene detto che questa loro esperienza è il loro problema, o per lo meno il segno di un problema. In altre parole, all’interno della cornice dell’ABC, alla maggior parte dei clienti viene detto che il problema si trova a livello delle A (per esempio le allucinazioni uditive) o a livello delle B (i deliri); crediamo che tale approccio vada incontro ad una resistenza che può esser evitata tentando di stabilire una visione condivisa del problema come situato al livello delle C.” (Chadwick e Birchwood, 1996; pag. 64)