Ostacoli al trattamento del DPTS

Comorbilità. Come nel trattamento di ogni disturbo è necessario prendere in considerazione i disturbi in comorbilità, che frequentemente nel DPTS sono l’abuso di sostanze e la depressione. Andrews e coll. (2003) riferiscono che l’abuso di sostanze, soprattutto di alcool, nelle persone che hanno vissuto un trauma può costituire un modo di gestire i sintomi di intrusione e di attivazione, può quindi essere considerato una manifestazione di evitamento. Si deve perciò “essere cauti quando si chiede al paziente di non bere. E’ difficile decidere se trattare prima l’abuso di alcool e poi il DPTS, oppure se trattarli contemporaneamente. Alcuni sostengono che, poiché il paziente beve troppo principalmente per attenuare i sintomi del DPTS, ci si deve proporre di ridurre il consumo di alcool solo dopo aver lavorato su questi sintomi, o al massimo contemporaneamente. La tesi alternativa è che non è possibile avere una buona rielaborazione dei ricordi traumatici se il paziente continua ad abusare di sostanze. Alcuni ritengono che la decisione vada presa in base alla storia: se il paziente consumava la sostanza anche prima dell’evento traumatico, l’abuso andrebbe trattato separatamente e prima del DPTS; invece, se l’abuso è iniziato dopo l’evento, sarebbe meglio trattarlo insieme allo stress traumatico”. Secondo gli autori, il consumo di sostanze dovrebbe essere moderato e sotto controllo, per cui ci si deve porre l’obiettivo di ridurlo “già nelle prime fasi del trattamento, prima di arrivare alle fasi di esposizione e ristrutturazione cognitiva”.

Anche nel caso di depressione in comorbilità secondo gli autori “si pone la questione di quale sia il disturbo da trattare per primo”. Per esempio, è necessario verificare se la depressione è primaria o secondaria al DPTS e valutarne la gravità, in quanto “le forme più lievi hanno maggiori probabilità di risolversi con il miglioramento dei sintomi del DPTS e non interferiscono troppo col suo trattamento”, mentre le forme più gravi possono “influire negativamente su andamento ed esito del trattamento”. In caso di diagnosi di depressione moderata o grave è, quindi, importante “prestare attenzione a questo disturbo prima di affrontare i sintomi del DPTS”, ricorrendo sia ai farmaci sia alla psicoterapia.

Vantaggi secondari. I vantaggi secondari possono determinare il mantenimento del disturbo. Tra questi vi è soprattutto il risarcimento in denaro. Secondo Andrews e coll. (2003), “idealmente, sarebbe bene che le richieste di indennizzo fossero risolte prima di iniziare il trattamento, ma poiché questo nella realtà non è possibile, spesso occorre affrontare direttamente il problema col paziente discutendo con lui le implicazioni. Il terapeuta deve valutare se e in quale misura il paziente vuole conservare i suoi sintomi per ottenere il risarcimento. In alcuni casi, si può discutere col paziente che un buon recupero psicologico contribuirà al suo benessere e alla sua felicità molto più di qualunque somma di denaro”. Il terapeuta non deve eseguire perizie mediche a scopo di indennizzo o per altre finalità medico-legali, poiché “il conflitto di ruoli…potrebbe avere un impatto negativo sugli esiti del trattamento. Può essere opportuno spiegare apertamente al paziente la situazione sin dall’inizio”, indicandogli un collega per la perizia.

Precedenti eventi traumatici. Secondo Andrews e coll. (2003), da una parte, “presupporre l’esistenza di eventi traumatici precedenti o tentare di “far emergere” ricordi di eventi dimenticati è pericoloso e deontologicamente scorretto”. Dall’altra, un evento traumatico precedente può influire sul funzionamento attuale del paziente. Il terapeuta deve quindi evitare “di incoraggiare il paziente a generare falsi ricordi e allo stesso tempo creare un ambiente rassicurante in cui il paziente possa spontaneamente riferire altre eventuali esperienze traumatiche. A questo scopo, possono essere utili domande generali non direttive, come: […] “Ci sono state altre volte nella sua vita in cui si è sentito così?”. Si deve pensare alla presenza di precedenti esperienze traumatiche soprattutto quando il paziente progredisce meno di quanto atteso”.

Sensi di colpa. Eventuali sensi di colpa vanno affrontati sin dall’inizio, in quanto possono interferire con il trattamento. “Talvolta il paziente riferisce spontaneamente i sensi di colpa, ma in qualche caso, quando l’emozione è particolarmente forte, può non ammetterlo neanche in risposta a domande precise”. Un possibile indice di sensi di colpa irrisolti “è la mancanza di progressi nel trattamento”, per cui è necessario “indagarne nuovamente la presenza con domande appropriate. […] La discussione del senso di colpa può rappresentare una svolta nel trattamento” (Andrews et al. 2003).

La vergogna. L’esperienza di vergogna è strettamente collegata ai sentimenti di depressione, colpa e umiliazione. La vergogna e la colpa possono essere difficili da distinguere: sebbene entrambe implichino valutazioni di sé negative, i sentimenti di colpa si possono correlare di più al comportamento, mentre la vergogna può riflettere bassa autostima e autocritica. I pazienti con esperienze post-traumatiche di vergogna tendono a descrivere meno fenomeni di intrusione e di re-experiencing associati al DPTS. Invece, essi descrivono esperienze di ruminazione su cosa è andato male, come hanno fallito, il loro senso di disperazione e impotenza, e altre cognizioni relative a sé (come la colpa). I pensieri e i sentimenti dolorosi sembrano aver meno a che fare con la paura della morte e più con la perdita di un senso interiore di fiducia in sé e stima. Tali aspetti sono rintracciabili nel DPTS complesso. In questi casi lo scopo della terapia è cercare di aiutare il paziente a ristabilire un senso di significato rispetto al proprio senso di sé. Le sedute si focalizzano sulle credenze relative al sé e agli altri e sull’esperienza di sentimenti dolorosi come la vergogna e la rabbia. In molti pazienti, infatti, la vergogna si associa a una profonda e pervasiva rabbia, la cui identificazione ed espressione sono aspetti importanti del processo terapeutico. In questi casi, la ripetizione dei dettagli dell’esperienza traumatica mediante l’esposizione può essere controindicata, perché può aumentare la sofferenza e la vergogna nel paziente (il quale ha già poche capacità di gestire tali sentimenti). Lo scopo terapeutico è invece creare col paziente un ambiente in cui possono essere esplorati in modo sicuro tali sentimenti; può essere necessario insegnare al paziente strategie per calmarsi e contenere l’arousal e potenziare le sue strategie di coping (Adshead 2000).