L’approccio cognitivo-comportamentale

Secondo il cognitivismo, il fattore principale che fa diventare patologico il gioco d’azzardo è il desiderio di guadagnare soldi. A questo si accompagna la concezione erronea dell’andamento del gioco, che consiste in un’errata interpretazione del caso: il giocatore crede di poter prevenire alcune situazioni, casuali, in base a “calcoli” (illusione di controllo) o a credenze erronee (per esempio, si crede di essere in procinto di vincere perché fino a quel momento si sono ottenute solo delle sconfitte). La mente umana attribuisce significati , opera con senso logico e spiega, in maniera ingannevole, i dati percettivi.  Ciò porta il soggetto a ripetere i suoi tentativi di gioco.

Con un esperimento, Ladouceur e Walker (1996) dimostrano come i fattori cognitivi siano determinanti nello sviluppo e nel mantenimento del gioco problematico. Ai soggetti dell’esperimento era chiesto di pensare ad alta voce mentre giocavano al black jack, alla roulette, al video-poker, alle slot-machine. I risultati evidenziano che “il 75% delle loro percezioni erano erronee e la maggior parte deriva dalla nozione di azzardo. Ciò porta i giocatori ad alimentare illusioni di controllo e favorisce l’idea che potessero predire i risultati di questi giochi. Queste concezioni errate li spingevano inoltre a sviluppare delle strategie e a credere che la loro abilità avrebbe aumentato le possibilità di vincita” (Ladouceur e Walker, 1996).

Alcune credenze erronee tratte dall’esperimento sono:

       sento che sto per vincere, aumento la puntata;

       punto sempre gli stessi numeri, prima o dopo usciranno;

       sono ispirato, scelgo la macchina buona;

       quando gioco di notte vinco di più;

       perdo da tre volte di seguito, ora devo vincere;

       se continuo a giocare, la fortuna arriverà prima o poi.

La teoria cognitiva oltre a prestare attenzione al rapporto che il giocatore ha con il caso, tiene conto anche del collegamento tra gioco e assunzione di rischio: tale comportamento a rischio è un mezzo per raggiungere uno scopo. Il giocatore vede nel gioco un’opportunità. Anche in questo caso, alla base c’è una concezione disfunzionale che motiva il giocatore a ripetere il comportamento problematico. Il soggetto sembra rispondere alla definizione che Zuckerman (1979) da di sensation seeker, cioè persona che ha una forte propensione al rischio. Secondo Zuckerman c’è una connessione tra propensione al rischio come tratto di personalità e gioco patologico.

Le caratteristiche collegate a questo tratto sono analoghe a quelle del gambler:

       ricerca del brivido tramite continuo desiderio di esperienze;

       disinibizione;

       tendenza a evitare  situazioni poco stimolanti e quindi a provare inquietudine se le si sperimenta.

Anche Le Breton (1995) è d’accordo che l’assunzione di rischio (risk-taking) cresce mano a mano che il gioco diventa un’abitudine per il giocatore. Essi sovrastimano le probabilità che hanno di vincere e continuano a giocare perché prima o poi si rifaranno delle perdite. 

Da ultimo si deve ricordare che gli eventi positivi sono appresi più velocemente e vengono memorizzati più a lungo di quelli negativi. I gamblers ricordano le vincite che hanno innalzato il loro arousal e dimenticano le perdite (Dickerson, 1984). Sembra che l’innalzamento dell’arousal agisca da rinforzo nel mantenimento del gioco. Una variazione dell’arousal, unita ai tempi, ai luoghi e ai vari tipi di gioco, contribuisce a sviluppare la dipendenza dal gioco d’azzardo.