Paura, attaccamento e disorganizzazione

Il sistema d’attaccamento viene normalmente attivato dalla situazione di separazione e di riunione, ma nello stesso tempo nella relazione disorganizzata/disorientata sembra che il bambino e la madre condividano un’esperienza antitetica all’attaccamento, che interferisce con tale sistema. Main ed Hesse hanno individuato come esperienza antitetica all’attaccamento un’esperienza basata sulla paura. Le autrici sostengono che all’origine dell’attaccamento D vi sia una figura di attaccamento spaventante, che diviene per il bambino allo stesso tempo fonte di conforto e di allarme, evocando contemporaneamente risposte contraddittorie. A questo punto il bambino sperimenta la tendenza intrinsecamente contraddittoria sia a fuggire che ad avvicinarsi alla figura di attaccamento e ciò lo porta ad un collasso delle strategie comportamentali, manifestando perciò i movimenti e le espressioni fuori luogo, interrotti e/o incompleti sopra descritti (Main ed Hesse, 1992).

Genitore come fonte reale di pericolo

Nei campioni ad alto rischio l’incidenza della classificazione di attaccamento disorganizzato nella prima infanzia varia negli studi dal 14% all’80%, a seconda della presenza e del tipo di fattore di rischio familiare (Lyons-Ruth e Jiacobvitz, 1999). Il maltrattamento infantile, il disturbo depressivo maggiore, il disturbo bipolare, o il consumo di alcool del genitore sono stati associati con incrementi significativi dell’incidenza di modelli d’attaccamento disorganizzato nella prima infanzia. Carlson e coll. (1982) hanno riscontrato che l’82% di bambini maltrattati del loro campione a basso reddito erano classificati come disorganizzati, in confronto al 18% di quelli del gruppo di controllo (pure a basso reddito).

In questo caso il meccanismo della paura è un meccanismo evidentemente dettato dal maltrattamento e dall’abuso. Il genitore è fonte di paura per il bambino perché costituisce un pericolo per lui, o comunque il bambino avverte un senso di minaccia alla propria incolumità da parte del genitore.

Relazione spaventata-spaventante

Più complessa appare l’analisi nei campioni non clinici, ove i genitori non sono né maltrattanti né abusanti. Anche nelle famiglie a basso rischio, infatti, una sostanziale proporzione di bambini (attualmente stimata intorno al 20%) non riesce ad organizzare il proprio comportamento di attaccamento secondo uno stile coerente.

I primi indizi per identificare le forme di comportamento spaventante diverse dalle violenze fisiche sono emersi dall’osservazione che il comportamento disorganizzato dei bambini nella SS era legato a un linguaggio insolito dei genitori nel racconto delle proprie esperienze di perdita (o di abuso) nel corso dell’AAI. Lo stile di attaccamento D è risultato strettamente correlato a salti logici nel discorso, incoerenze ed apparenti lapsus nei processi metacognitivi dei genitori durante il racconto di esperienze infantili traumatiche, lapsus prevalentemente relativi a una storia di morte di persone importanti o ad esperienze di maltrattamenti e abusi (Main ed Hesse, 1992). Questi resoconti rivelavano deficit significativi della funzione nota come monitoraggio metacognitivo che possiamo considerare diretta espressione della coscienza.

Al deficit metacognitivo dei genitori si aggiungono altri elementi rilevabili dall’osservazione di questi durante la SS: la mimica delle madri di bambini D suggerisce agli osservatori un assorbimento di queste in qualche esperienza dolorosa del passato, con conseguente estraneamento da quanto accade intorno a loro, una sorta di trance spontanea derivata dall’immersione in un doloroso mondo interiore e personale, difficilmente condivisibile da altri adulti e tanto meno dal bambino. Sporadicamente, è stato osservato che quando la mimica e la postura assunte dalla madre suggerisse decisamente che la donna entrasse in quel momento in uno stato ipnoide, o in una sorta di trance spontanea, immediatamente dopo il comportamento del bambino cominciava a dare intensi segni di disorganizzazione e di disorientamento (Main ed Hesse, 1992).

La correlazione tra disorganizzazione dell’attaccamento nei bambini e traumi non risolti nella FdA è stata replicata più volte da numerosi gruppi di  ricerca indipendenti (per alcune rassegne si vedano Lyons-Ruth e Jiacobvitz, 1999; Solomon, George, 1999).

Per spiegare l’associazione fra lutto o trauma irrisolto nel genitore e attaccamento D nel bambino Main ed Hesse (1992) ipotizzano che il ricordo del trauma non risolto tende ad affiorare alla coscienza in modo compulsivo, frammentario e imprevedibile. Quando ciò avviene nella mente di un genitore che sta accudendo un bambino piccolo, si produrranno espressioni di paura nel volto della FdA, e il bambino sarà spaventato dal notare tali espressioni. Secondo Main ed Hesse questo comportamento materno può essere definito spaventato e/o spaventante. Spaventato perchè è espressione dell’assorbimento della persona in memorie dolorose irrisolte; spaventante perché il bambino coglie la paura latente nella madre e reagisce a tale paura spaventandosi a sua volta. Il bambino non può in alcun modo identificare nell’ambiente la fonte della paura della madre. La paura materna ha dunque per il bambino, come spesso anche per la madre che lo vive all’interno di uno stato mentale abnorme e dissociato, un carattere misterioso, in qualche modo irreale, che ben si collega a stati alterati di coscienza (Liotti 1994, 2005).

Si crea così nel bambino un conflitto insolubile fra due sistemi motivazionali innati: il sistema dell’attaccamento, che lo obbliga a cercare la vicinanza protettiva della FdA ogni volta che si trova in pericolo, e il sistema difensivo più arcaico, che lo obbliga a fuggire o ad immobilizzarsi di fronte ad uno stimolo che gli incuta paura (Main ed Hesse 1992; Liotti 1994, 2005).

E’ importante sottolineare che questi esiti dello spavento genitoriale sono insidiosi e possono non tradursi in maltrattamenti o abusi evidenti, pur essendo altrettanto infausti. Infatti, la disorganizzazione del bambino è solo in minima relazione con la sensibilità generale del genitore. Quindi, molti genitori che mostrano accessi di comportamenti spaventanti (avendo essi stessi subito significativi lutti o maltrattamenti, cioè l’effetto del trauma sulla “prima generazione”), possono essere per altri versi sensibili e solleciti. Poiché nei campioni a basso rischio il bambino non ha “perduto” il genitore, né in genere subìto abusi, la sua disorganizzazione può essere considerata come un effetto sulla seconda generazione del trauma vissuto in passato dal genitore (Main, 2008).

Attili (2001) ha richiamato l’attenzione sul fatto che, nel particolare tipo di interazione produttiva dell’attaccamento D, il bambino non può disporre delle due fondamentali strategie innate connesse all’emozione di paura, l’attacco e la fuga. Deve allora far ricorso alla terza strategia innata per gestire la paura, quella dell’immobilizzazione (freezing), che in effetti è talora osservabile nel comportamento dei bambini D nella SS.