Tecniche immaginative

La parola “immagine” può avere più significati. Nel nostro caso ci interessa il significato: “rappresentazione nella mente di cosa vera o fittizia per mezzo della memoria o della fantasia” (Dizionario Garzanti della lingua Italiana, 1995) .

Tecniche psicoterapeutiche che attingono all’ immagine sono presenti in tutta la storia della psichiatria moderna. L’ approccio lavora con la produzione immaginaria del soggetto.

L’ idea è di  “elaborare” o di lavorare con la capacità umana di figurarsi nella mente, di concepire con la fantasia e di inventare una realtà interiore – immaginaria.

Tecniche che lavorano con questa capacità mentale sono presenti in più orientamenti psicoterapeutici, nell’ approccio psicodinamico, nella Analisi Transazionale, nella Gestalt ecc.

L’idea di affrontare i problemi del paziente tenendo conto non solo dell’ aspetto cognitivo e comportamentale, ma dando importanza al lavoro a livello della visualizzazione mentale è presente anche all’ interno delle scuole cognitive-comportamentali.

Nomi noti, in Italia,  nell’ orientamento cognitivo-compotamentale  sono Giannantonio e Poeiero, in ambito germanico sono: Lammers, Ehlers, Sachsse, Wöller, e Reddemann. Quest’ultima deriva da un orientamento psicodinamico ma è collaboratrice in molti scritti che si occupano di tecniche immaginative con orientamento cognitivo comportamentale.

In questo paragrafo si cercherà di inquadrare le possibilità di trattamento di pazienti traumatizzati con tecniche immaginative che sono integrabili nella cornice di un orientamento cognitivo-comportamentale.

L’obbiettivo è di delineare brevemente una rassegna delle tecniche più frequenti e usate, paragonare tra di loro i principali concetti di lavoro ed infine discutere quello che ad oggi gli studi e le metaanalisi hanno potuto evidenziare sull’efficacia dei trattamenti nell’ ambito psicotraumatologico.  

Nel trattamento Cognitivo – Comportamentale le tecniche immaginative aprono la possibilità di confutare valutazioni disfunzionali peri- e postraumatiche  e facilitare così l’integrazione dell’ evento traumatico nella memoria autobiografica.

Normalmente vengono applicate durante una elaborazione di confronto con il ricordo dell’evento traumatico e del suo momento più drammatico e difficile. Si spunta su due obbiettivi: facilitare con l’aiuto del lavoro immaginativo una integrazione della memoria traumatica in una visione più funzionale; recuperare, tramite la costruzione di immagini di rielaborazione e di superamento della situazione drammatica,  un’ interpretazione più funzionale dell’ evento e delle sue conseguenze (Boos, 2005)

Sembra che queste tecniche abbiano una rilevanza particolare nel trattamento del PTSD perché  attraverso il lavoro a livello immaginativo  ” …attivano  quel canale visuale, che è  contaminato dalle intrusioni…” (Boos, 2004). Ciò è plausibile, tenendo conto dal fatto che “immaginando” sono attivate aree cerebrali diverse rispetto a quando siamo coinvolti in processi mentali razionali.

Le tecniche immaginative sembrano aprire veramente la possibilità di modificare sia il ricordo doloroso che la sua interpretazione in un modo più adativo  e funzionale.

Rational Emotive Imagery (REI)

La Rational Emotive Imagery è una tecnica specifica, “classica” tra i  metodi di intervento che fanno parte del patrimonio della Rational Emotive and Behavioral Therapy   (Baldini, 1998). 

La REI è da attribuire senza dubbio alle tecniche emotive della REBT, e all’ interno di questa viene fatto ampiamente uso di essa. 

Gli autori che hanno sviluppato e applicato questa tecnica, sottolineano l’importanza della capacità immaginativa nello sviluppo e nel mantenimento di convinzioni disfunzionali (Beck,1976, Lazarus, 1973,) altri hanno dimostrato che  l’uso di tecniche ipnotiche hanno maggior effetto quando il soggetto viene invitato ad integrarvi cognizioni più funzionali, antecedentemente elaborate (Katz, 1979, Diamond,1977).    

La REI è una tecnica che viene usata come integrazione negli altri metodi cognitivi. Mira ad una miglior integrazione ed assunzione di “elaborati” mentali più funzionali. Ovvero cerca ad aiutare il paziente ad integrare aspetti emotivi nelle nuove interpretazioni cognitive, elaborate con il terapeuta.

Si possono distinguere due metodi di condurre la REI, quello di Ellis&Harper o quello di Maultsby (chiamato anche immaginazione positiva). Quest’ultimo lavora meno sul tentativo di “cambiare” le emozioni negative. Lavora più sull’ abbinamento delle emozioni con le nuove cognizioni elaborate antecedentemente. Ambedue le modalità iniziano con un rilassamento breve e vanno ripetute a casa come home-work.

Dando più spazio agli aspetti emozionali e immaginativi sembra che per il PTSD possa essere più indicato il  metodo di Ellis &Harper.

Dopo un rilassamento breve si chiede al paziente:  

    di rivivere la situazione avversa conducendolo nella sua immagine

    a concentrarsi  sulla emozione negativa provata e ad portarla fino ad un livello estremo

    eseguito questo, si chiede al paziente di cambiare energicamente  l’emozione da insopportabile e penosa ad adeguata ed accettabile. L’adeguatezza e/o la sopportabilità costituiscono gli obbiettivi precedentemente elaborati con il paziente come scopo dell’ intervento.

La Rei in questo mira ad un radicale cambiamento dell’  emozione provata nei confronti allo stimolo (ricordo)  attivante / avversivo. Questo cambiamento deve essere ripetuto come home work, in modo che questa nuova emozione si instauri veramente nel paziente.

Imagery Rescripting and Reprocessing –Therapy (IRRT)

La Imagery Rescripting and Reprocessing Therapy è una tecnica la quale conoscenza in ambito anglosassone ma anche germanico è abbastanza diffusa e al cui proposito esiste un elevato numero di  pubblicazioni. Anche nell’ orientamento di Terapia Cognitivo Comportamentale  Italiana (specialmente  nel 1° centro della scuola Cognitiva Comportamentale  di Roma) la tecnica è studiata  ed applicata.

La IRRT è stata sviluppata in primo luogo per pazienti vittime di abusi fisici e/o sessuali ed è stata riportata per prima in bibliografia psicologica di  orientamento psicodinamico.

È merito di Smucker M. R.(1999), Dancue C.V., Gunnert B.K. e WeisJ.M.  ed altri di aver  fornito e formulato le basi teoriche per una lettura in termini cognitivo- comportamentali. Sviluppando le premesse teoriche, consolidando il processo in concetti cognitivi e comportamentali, sono riusciti ad inquadrare su che base e in quali termini e modi questa tecnica, collocata in una cornice di terapia Cognitivo Comportamentale può essere applicata ed aver notevoli risultati non solo psicoemozionali ma anche a livello di “rilettura” e di integrazione nell’autobiografia del paziente. 

Gli scopi di  un’ intervento  con IRRT

§  Riduzione della sintomatologia  intrusiva

§  Modificazione dell’ evitamento di stimoli  relativi al trauma

§  Sostituzione del ricordo traumatico con un ricordo di superamento

§  Modificazione degli schemi disfunzionali relativi al trauma

§  Miglioramento delle capacità di regolazione emotiva, capacità di auto-tranquilizzazione  e di cura di sé stessi

§  Riduzione della  sintomatologia  dell’alterazione dell’arousal (Boos, 2005)

La IRRT è in sintesi una tecnica di confronto durante la quale si utilizza le capacità immaginative. L’immaginazione in questo caso non è completamente libera, ma viene guidata o meglio diretta dal terapeuta, il quale aiuta il paziente di  “immaginarsi” altri possibili “fine-storia”,  altri decorsi dell’ evento. Questo facilita al paziente una “rilettura” dell’evento con le capacità mentali ed emotive del presente (discusse ed apprese nel decorso della terapia). In questo modo il paziente riesce ad relazionarsi diversamente al proprio vissuto ed a elaborare Modelli operativi interni e schemi interni significativi più realistici.

L’intervento della IRRT viene fatta in una sequenza precisa, lo schema grafico riportato, visualizza interventi, scopi e decorso. Si possono individuare tre fasi, tutte tre vengono eseguite in una seduta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 3. Schema grafico del decorso dell’IRRT (Boos, 2004)

Scopo sostanziale di questa tecnica è sostituire il ricordo dannoso (essere indifeso, inerme, impotente e perdita di controllo) con uno “nuovo”, rielaborato attraverso una riscrittura dell’ evento costruito tramite l’immaginazione .

Se questa tecnica è una tecnica sviluppata per pazienti traumatizzati nell’infanzia, quello che a mio parere rimane punto  di discussione è il dato di fatto che tanti di questi pazienti non evitano affatto oppure solo apparentemente questi stimoli attivanti. Osservazioni cliniche più volte hanno riportato che persone traumatizzate nell’infanzia in età adulta si ritrovano spesso nelle condizioni di rivivere ulteriori traumi simili a quelli vissuti nell’infanzia. Il discorso di evitamento di stimoli relativi allora in qualche modo è in contraddizione con questo dato di fatto e richiederebbe una spiegazione approfondita.

 Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso Movimenti oculari (EMDR)

La desensibilizzazione  e rielaborazione attraverso i movimenti oculari (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è un metodo clinico, sviluppato da Francine Shapiro negli stati Uniti d’America nel 1987. Shapiro riferisce di aver osservato effetti apparentemente desensibilizzanti di movimenti oculari spontanei, ripetuti su pensieri spiacevoli (Shapiro, 1995). Sulla base di osservazioni cliniche e scientifiche la Shapiro ha elaborato e ottimizzato questa tecnica, che sin dagli inizi è stata testata prevalentemente (ma non solo) sul PTSD e sul quale si è dimostrata altamente efficace.

In letteratura si trovano opinioni controverse su tale tematica; tuttavia, nella ricerca scientifica, negli studi di efficacia e nelle meta-analisi, l’effetto soprattutto nel PTSD è evidente e replicato varie volte. La discussione è ancora aperta rispetto a questioni quali: le basi teoriche ed i reali meccanismi di funzionamento a livello neurofisiologico e neuropsicologico,  e gli effetti a lungo termine.

È in sostanza una tecnica di esposizione che mira al raggiungimento di una desensibilizzazione, che cerca ad raggiungere avvalendosi di una “elaborazione accelerata” del ricordo stimolata dai movimenti oculari ritmici, ottenuti seguendo i movimenti della mano del terapeuta (Nisi, 2005).

Come funziona l’ EMDR

Il trattamento EMDR si compone di otto fasi, e viene integrato in un progetto terapeutico come descritta nella tabella 3.

Le fasi dell’EMDR

1°Fase

Anamnesi e pianificazione

Valutazioni dei fattori di sicurezza del paziente  e valutazione di idoneità

Raccolta di informazioni per realizzare un piano terapeutico

Fase 2°

preparazione

Creazione di alleanza terapeutica e informazioni sul trattamento

Addestramento delle procedure di rilassamento

Fase 3°

assessment

Identificazione del target, scelta dell’immagine e della cognizione disfunzionale

Identificazione di una cognizione positiva che verrà successivamente usata per sostituire la cognizione negativa (nella fase 5°)

Spiegazione del modello e del suo funzionamento

Creazione di un “posto sicuro”  immaginato

Fase 4°

desensibilizzazione

Focalizzazione sull’emozione negativa (misurata dalla scala SUD)e desensibilizzazione  e elaborazione  accelerata  (applicazione di set di movimenti oculari )

Fase 5°

installazione

Verifica dell’ adeguatezza della cognizione positiva

e/o creazione  e integrazione completa dell’ autovalutazione positiva 

Fase 6°

Scansione corporea

Concentrazione sulle sensazioni fisiche, scansione corporea

Tensioni o rigidità rimasti saranno il target di ulteriori set

Set di rinforzamento di sensazioni confortevoli o positive

Fase 7°

chiusura

Riconduzione del paziente a uno stato di equilibrio emotivo

Informazioni sul significato di eventuali immagini, pensieri disturbanti e di come affrontarli (rilassamento, posto sicuro)

Istruzioni di raccolta di questi, sia per un distanziamento che per  cogliere ulteriori elementi

Fase 8°

rivalutazione

Verifica degli effetti terapeutici nei confronti del target

Integrazione degli  effetti rielaborativi e comportamentali

Tavola 3. Le fasi dell’EMDR

Se negli interventi cognitivo-comporatmentali “classici” si lavora sugli aspetti mentali e comportamentali, a livello di metacognizione e tramite rinforzo e verifica, nel protocollo EMDR questi aspetti vengono intergrati.

La procedura per arrivare alla desensibilizzazione sostanzialmente è la stessa. Quello che cambia è che viene dato ampiamente spazio alle “immagini” nel più ampio significato della parola. Al paziente viene chiesto di mantenere un’immagine dell’ esperienza traumatica originaria e viene incoraggiato a evocare contemporaneamente l’evento e le sensazioni associate.  Viene invitato a “percepire“ nei  dettagli tutto quello che è rievocabile a livello di percezione (non solo di pensieri), di  “ri- immedesimarsi” nei ricordi, facendoli emergere possibilmente non solo come  immagini visive, ma dando spazio anche a tutti gli altri aspetti a livello di percezione uditiva, olfattiva e tattile, e  a livello di pensiero e di emozioni.

Durante questa sessione dell’immaginarsi, o meglio del “ri-immaginarsi”, viene dato spazio ad altre immagini che emergono  – associate a queste. “Alcuni pazienti presentano un fiume apparentemente infinito di ricordi distinti associati” (Shapiro, 1995).

L’apparizione di immagini associate e i cambiamenti percettivi delle immagini sono segni che l’elaborazione si sta per attuare che il canale tra memoria procedurale ed implicita e memoria episodica ed esplicita si sta per aprire,  transizione desiderata dalla tecnica e che coglie il fatto che eventi traumatici possono “incastrarsi” nella memoria procedurale e non passare nella memoria episodica a lungo termine, causando in questo modo intrusioni, flash-backs e  alterazioni dell’arousal (Nisi A. 2005). Seguendo i set di movimenti oculari, che vengono eseguiti dal terapeuta in questa fase, e che  il paziente segue con i gli occhi,  il paziente, secondo le supposizioni della teoria del trattamento, elabora la sequenza  (Shapiro, 1995). Tutta la sequenza critica, compresi gli aspetti cognitivi, emozionali e sensoriali, grazie questa elaborazione accelerata possono essere immagazzinati nella memoria procedurale e a lungo termine.

Qui la tecnica EMDR fa riferimento alla supposizione discussa in ambito scientifico, ma  fino ad oggi non dimostrabile nei suoi dettagli, che nelle fasi REM del sonno, il cervello umano elabori le esperienze, si liberi da aspetti non – pertinenti e riesca poi ad immagazzinarli nella memoria episodica favorendo così un’ integrazione dell’evento nella memoria autobiografica. (Shapiro,1995, Düweke Peter, 2006).

In altre parole, l’ EMDR, sempre entro una cornice terapeutica cognitivo- comportamentale,  punta a che il paziente riesca a “esporsi” al ricordo a livello di immaginazione, a elaborarlo a livello cognitivo (cognizione funzionale – cognizione realistica o positiva), ma soprattutto a elaborarle tramite processi (fisiologici, come i movimenti oculari) l’aspetto negativo dell’evento traumatizzante, trasformandolo in questo modo da annientante a più sopportabile  o funzionale.  

Tecniche Immaginative orientate alle risorse

In questo sottocapitolo ci si concentrerà prevalentemente sui contributi degli autori Martin Sack e Luise Reddemann. Reddemann nell’ambito germanico è stata un po’  l’ anima pionieristica del trattamento di PTSD. Neurologa, psicologa e psicoterapeuta di orientamento dinamico, direttrice di una clinica specializzata per disturbi psicosomatici e psicotraumatologici, ha documentato un’ ampia raccolta e descrizione di tecniche immaginative, applicate nella clinica da lei diretta. Questa documentazione e descrizione, un libro, ristampato per la 12° volta è ritenuto da molti un classico nel  trattamento del PTSD.   Frequenti sono infatti, commenti e collaborazioni con l’autrice; libri suoi si trovano negli indici bibliografici di vari autori che si occupano della tematica, oppure  introduzioni dell’autrice per altre bibliografie (come per esempio nel libro In che direzione si evolve il trattamento dei traumi, (Lamprecht, 2007)  nel quale c’è anche un capitolo di van der Kolk). L’autrice è poco nota però  nell’ambito italiano, il libro non risulta tradotto in italiano.

L’ approccio psicoterapeutico orientato alle risorse di Reddemann (2001), Sack (2007) sottolineano ficalizza:

a) l’importanza della riattivazione delle risorse del paziente affetto da PTSD e

b) l’adattamento degli interventi a seconda delle diverse fasi e/o stati emotivi del paziente

Nel primo punto colgono uno degli effetti ritenuti i più essenziali e significativi secondo gli studi di Grave, Donati e Bernauer, (2001).

Le risorse delle quali il terapeuta deve tener conto e che deve attivare possono essere divise in

    risorse interne

    risorse esterne

    risorse biologiche (Sack, 2007).

L’attivazione delle risorse esterne, come la rete sociale del paziente, ed il contributo che queste possono avere, viene sottolineato anche negli scritti di Fullerton et al. (1992).

Altro elemento costitutivo nel trattamento del PTSD, viene precisato dagli autori,  è una cornice stabile della relazione terapeuta – paziente, caratterizzata da sicurezza e professionalità che riesca a attivare nel paziente la sensazione di protezione e controllabilità. Su questo punto concordano vari autori ( van der Kolk, 2004,  Reddemann 2006, Sack et al.2007).

Come risorse interne vengono considerate e messe a fuoco tutte le capacità mentali, le abilità comportamentali e di coping in senso ampio. Venendo riattivate, tutte possono svolgere un ruolo importante per il superamento della problematica. In questa cornice anche le capacità immaginative sono considerate “risorsa” interna.

Il concetto delle Risorse Interne e delle Capacità Immaginative viene integrato nel sostegno  psicologico ed aiuta al paziente al raggiungimento  della sensazione di controllabilità, di sicurezza personale e di capacità di affrontare il pericolo.

Questo processo viene delineato secondo il seguente percorso:

§  trovare stabilità interiore (stabilizzazione)

§  imparare un atteggiamento di “autocura” verso di sé ed il proprio corpo

§  “affrontare” (immaginariamente) il trauma

§  elaborazione creativa – simbolica del trauma

§  accettazione ed integrazione dell’ evento nella storia di vita personale (Reddemann, 2001)

A seconda della fase, Reddemann propone una serie di immagini  guidate che aiutano al paziente a sviluppare :

§  pensieri/immagini positive, esperimentati durante l’ immaginazione,

§  strategie di coping di regolazione emotiva

§  sviluppo di strategie sia di concentrazione sull’emozione che di distacco emotivo, con l’obbiettivo di riuscire ad “assistere” al ricordo (intrusione)  ma di non esserne oppresso

§  “riscrivere” l’evento immaginando un’ altro fine, o con l’aiuto di una figura immaginata/fantasticata,  oppure con l’aiuto della propria persona, ma con le capacità del presente

Le varie immagini guidate per la prima fase (stabilizzazione) consistono in sostanza nello sviluppare nel paziente strategie di coping e di  regolazione emotiva dell’esperienza delle intrusioni.

Le tecniche di immaginazione guidata, riportate nel libro di Reddemann sono molte, si differenziano tra di loro per l’obbiettivo degli interventi e per la diversità delle varie fasi che  seguono alla traumatizzazione. La scelta può essere fatta secondo lo stato psico-emozionale  del paziente. Una elencazione e descrizione spezzerebbe completamente la cornice di questo lavoro, qualche tecnica però sarà di seguito brevemente illustrata.  

L’immaginazione di un posto sicuro, il primo e basilare esercizio consigliato della Reddemann è ormai una tecnica nota, e non necessita di ulteriori descrizioni.

Immaginazione di contro-scena: Il paziente viene guidato brevemente nei suoi pensieri intrusivi, e poi nell’ evocare un’immagine di controscena per costituire una modalità di distanziamento (un evento della propria vita, un posto di conforto o rilassante, una fonte di conforto come lo può essere una sorgente d’acqua, una spiaggia ecc.) . Poi si invita il paziente ad alternare tra le due “scene”. Si assiste il paziente nel descrivere e nello “stare” per un’ po sia in una che nell’ altra scena. Alla fine si spiega al paziente che lo scopo di questa strategia non è di “evitare” l’intrusione, ma di avere uno scenario interiore in alternativa, utile per imparare a reggere lo stato d’animo durante l’intrusione.

Immaginazione del regolatore di riscaldamento: il paziente viene invitato a immaginarsi il più concretamente e dettagliatamente possibile un regolatore di un riscaldamento. Poi viene invitato ad immaginare la propria emozione temuta rievocata dalla intrusione come “regolabile” tramite il regolatore, manovrando lui stesso (oppure sotto diretta indicazione del terapeuta) la manopola.

Altre tecniche di Immaginazione guidata mirano a denominare e/o “figurare” il pericolo o l’evento, o certi suoi aspetti.

Questa capacità di denominare, “manipolare” le emozioni provate, facilitando in questo modo la capacità sia di concentrazione sull’emozione che di distacco, è ritenuto lavoro fondamentale nel trattamento del PTSD da vari autori. “Un aspetto fondamentale nel trattamento di un soggetto traumatizzato è costituito dalla capacità di aiutarlo a trovare parole per descrivere gli stati emotivi, dare un nome ai sentimenti, conferire al  paziente un senso soggettivo di controllo e una flessibilità mentale che facilita il raffronto con altre emozioni e altre situazioni.” ( Mc Farlane et al.,in  van der Kolk 2004 )

Tecniche di immaginazione guidata per una “ri-scrittura” dell’evento

Questa “riscrittura” mira ad una modificazione e ristrutturazione del significato dell’evento in termini più funzionali  e ad una sua integrazione nella storia di vita del paziente.

Sempre con l’immaginazioni guidata la Reddemann descrive un esercizio che sollecita il paziente di “ri-scrivere” l’evento traumatizzante con un’ altro fine-storia (immaginato dettagliatamente) magari anche con figure ideate, come può essere una persona desiderata o nel caso di traumi infantili, il paziente stesso in età adulta.

Questo “iter” in sostanza assomiglia molto alla tecnica del IRRT e  come questo è  “solo” un elemento all’interno di un trattamento integrato.

Aggiungo in questione un citato di van der Kolk: ”è opportuno ribadire che quasi mai è sufficiente parlare del trauma: chi ha riportato un trauma deve compiere una qualche azione che incarni simbolicamente la sua  vittoria sull’impotenza e la disperazione” (2004). Un’ attività che per terapeuti di orientamento cognitivo comportamentale potrebbe essere un compito a casa, come per esempio scrivere una lettera, disegnare (anche solo simbolicamente) un prospetto, un elemento, trovare una rappresentazione metaforica ed altro.

Mindfulness

In questo capitolo solo una piccola parte della MBSR (Mindfulness- Based Stress Reduction) sarà brevemente illustrata, proprio perché è solo in parte una tecnica immaginativa, o meglio solo certi aspetti della Mindfulenss integrano la capacità di “immaginare”.

La Mindfullness in sostanza è una tecnica meditativa, il termine Mindfulness è la traduzione inglese della parola “sati” in lingua Pali e vuol dire consapevolezza, attenzione.

Vorrei illustrare brevemente questa tecnica, perché da un lato gli effetti benefici fin’ora riportati sono interessanti e meritano attenzione, dall’altro per completare l’illustrazione delle tecniche immaginative usate per il PTSD  e per ultimo per non tralasciare una tecnica che integra un’ approccio marcatamente diverso da quelli già presentati, e che sono tutti riportabili a una tradizione europea. 

La Minfulness, pratica di attenzione, è un esercizio della meditazione Buddista. Dalla fine degli anni 70  John Kabat Zinn, medico e direttore della clinica universitaria di Massachusetts ha applicato questa pratica nella clinica dopo averla slegata da ogni legame religioso e/o spirituale. Primariamente è stato applicato per la riduzione dei sintomi provocati dallo stress. Oggi la pratica trova sempre maggior attenzione e la  sua applicazione si è estesa anche ad  altri disturbi, nell’ ultimo periodo anche al  PTSD, con esiti positivi (Didonna, in stampa)

Segal, Williams e Teasdale (2002) ma anche altri autori  hanno  evidenziato le basi teoriche e le grandi linee guida  per la sua applicazione.

Se i modelli Cognitivo – Comportamentali tradizionali cercano di affrontare le problematiche  “cambiando” le cognizioni disfunzionali,  la mindfulness  propone un approccio differente dalla psicologia clinica “europea” quasi a pari passo con l’ idea di Einstein, secondo cui i problemi non vanno risolti con gli stessi mezzi che gli creano.

Anche questa, come le altre tecniche descritte, viene  insegnata  nell’ arco di un progetto terapeutico e mira ad aiutare  il paziente a relazionarsi diversamente alla sua sofferenza.    

Vorrei soffermarmi brevemente  sulla descrizione della pratica della Mindfulness sulle grandi linee in modo da riuscire a inquadrare meglio le meditazioni che potremo chiamare  “immaginazioni”

La Mindfulness è la capacità di prestare attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente, senza giudicare ( Kabat- Zinn J., 2004)

Una definizione operativa condivisa da più esperti è che, la Mindfulness  è un modello bi-componenziale ed implica:

I.     auto-regolazione dell’attenzione

II.    orientamento verso l’esperienza (Bishop et al. , 2004)

Le componenti  dell’orientamento all’ esperienza si possono riassumere in

§  Accettazione: Notare gli eventi interni che vengono esperiti, rinunciando agli sforzi per evitare o cambiare tali eventi (Hayes, 1994)

§  Curiosità: Tutti i pensieri, emozioni e sensazioni che compaiono sono visti inizialmente come rilevanti e perciò soggetti di osservazione

§  pazienza: permettere alle cose di accadere “al momento giusto”

§  Mancanza di sforzo (non striving) : le meditazione è un non fare (Didonna 2007)

Sempre entro questo approccio, ci sono alcune  “meditazioni” proposti da Kabat Zinn che possiamo chiamare “immaginative” ovvero che propongono una immaginazione mirata a innescare nel paziente ciò che  potrebbe essere utile in termini di pazienza ed accettazione della sofferenza.

Iter dell’ immaginazione

Dopo che il paziente ha appreso la pratica “meditativa”, Kabat Zinn propone anche  “immaginazioni” come quelle della montagna e del lago, che sono immaginazioni guidate. 

In queste immaginazioni guidate viene chiesto al paziente, in primo luogo di fare attenzione a quello che durante la immaginazione gli appare, sente, percepisce, ascolta. La guida invita il paziente ad  immaginarsi la “sua”montagna, la più bella che conosca, reale o non. Poi il paziente viene invitato a sentire dentro di sé le proprietà / caratteristiche della montagna, e ad entrare con il proprio corpo in sintonia con l’immagine montagna. Il trainer conduce il paziente  per cambiamenti di scena (tempeste, stagioni) e guida il paziente ad “sentire” l’immutabilità della montagna.

Obbiettivi di questi esercizi sono:

§  l’ attenzione per tutte le sensazioni somatiche, e mentali

§  l’ accettazione, decentramento, distanziamento

§  aiutare il paziente ad relazionarsi diversamente alla sofferenza

L’applicazione della Mindfullness finora è una pratica che primariamente viene proposta in cliniche psicosomatiche o ricoveri psicologici. Ha avuto degli esiti rispettabili nei disturbi di depressione (Teasdale, Williams, Segal), Boderline Personality Disorders (Linehan, 1993) DOC  (Gorbius, 2004, Didonna 2007)  Disturbi d’ansia (Kabat- Zinn, Roemer &Orsillo, 2002) ma anche sul  PTSD (Foilette et al 2004, Foa et  al. 2000).