di Claudia Perdighe

Non è un’operazione originale leggere un classico ritrovando un qualche disturbo mentale che, peraltro, all’epoca della scrittura non era ancora riconosciuto come tale (si veda per esempio il Delirio di Ivan di Semerari sui Fratelli Karamazov). I disturbi esistevano e venivano riconosciuti in tutte le loro caratteristiche prima di Freud e del DSM. Anche se non originale, vedere descritto un disturbo da un grande scrittore può dare una immagine e una comprensione profonda del disturbo, in quanto questo viene descritto dall’interno, illuminando bene gli stati mentali che guidano i comportamenti e le emozioni del personaggio.

Bel-Ami di Guy Mauppasant è una declinazione poetica di tutti i criteri diagnostici del DSM 5 per il narcisismo, nella sua forma overt. Il protagonista è Georges Duroy, un giovane uomo che vive a Parigi, dove si è trasferito dalla campagna nella speranza di ottenere ricchezze e prestigio. Lo incontriamo che non ha una lira in tasca, ma questo di poco intacca il suo grandioso senso di importanza.

Rimase per un attimo immobile, interrogandosi sul da farsi. Era il 28 giugno, e in tasca gli restavano esattamente tre franchi e quaranta per arrivare alla fine del mese. Il che significava due cene senza pranzare, o due pranzi senza cenare, come voleva.

Recuperato dalla cassiera il resto dei suoi cinque franchi, Georges Duroy uscì dal ristorante. Fanatico del bel portamento, un po’ per natura e un po’ per vezzo di ex sottufficiale, allargò il petto, arricciò i baffi con gesto marziale e insieme quotidiano, e gettò sugli avventori che indugiavano un’occhiata rapida e circolare, una di quelle occhiate da bel ragazzo che si allargano a cerchio come reti buttate a mare… Sembrava sempre in atto di sfidare qualcuno, i passanti, le case, la città intera, esibizione dell’aitante militare caduto nel mondo dei civili.

Lo tormentava anche un altro desiderio, quello di un’avventura amorosa. Come si sarebbe presentata? Non riusciva a immaginarselo, ma l’aspettava da tre mesi, tutti i giorni, tutte le sere.

Poi si contemplò a lungo, meravigliato di essere veramente un così bel ragazzo; poi si sorrise compiaciuto; poi, prendendo congedo dalla propria immagine, si salutò con un profondo inchino, cerimoniosamente, come si salutano i personaggi importanti.

Il senso di importanza si associa, coerentemente, a fantasie grandiose di successo, di potere e amore ideale. L’assorbimento in queste fantasie appare come la realizzazione, anche se solo nella mente, di quanto desiderato e meritato, vale a dire la realizzazione di quello che appare lo scopo che regola il narcisista: garantirsi un rango speciale, uno status più alto degli altri esseri umani. George Duroy, non si identifica nelle persone intorno a lui, nei “normali”, non crede di avere le stesse qualità e, dunque, di meritare lo stesso destino. Ritiene di avere una qualche specialità che, dunque, gli da diritto a un destino speciale, in una delle tante possibili declinazioni (ricchezze, potere, amori, fortuna). Non raggiungere tale status è, al contrario, il realizzarsi di una condanna: destino speciale è contrapposto non a normalità, ma uno scenario catastrofica di perdita di quanto in proprio diritto (antigoal).

Lo infastidiva più che altro la mediocrità morale della sua situazione, e non vedeva per quale via avrebbe scalato le altezze da cui si attingono considerazione, potere e ricchezza.

Senza accorgersene, s’era messo a fantasticare, come faceva ogni sera. Immaginava una magnifica avventura d’amore che, d’un sol colpo, avrebbe realizzato le sue speranze. Sposava la figlia d’un banchiere o d’un gran signore, incontrata per strada e conquistata a prima vista.

Stretto da quel mobile carezzevole che lo sosteneva delicatamente col suo schienale e i braccioli imbottiti, gli sembrò di entrare in una vita nuova e affascinante, di entrare in possesso di qualcosa di delizioso, di diventare qualcuno, di essere salvo.

Il fondo della vasca era cosparso di finissima sabbia d’oro e si vedevano nuotare enormi pesci rossi, bizzarri mostri cinesi dagli occhi sporgenti, con le scaglie listate d’azzurro, specie di mandarini acquatici che ricordavano, così erranti e sospesi su quel fondo d’oro, gli strani ricami di laggiù. Il giornalista si fermò col cuore che gli batteva. Diceva fra sé e sé: «Questo, questo è lusso. Questa è la casa in cui si deve vivere. Qualcuno c’è arrivato. Perché io non dovrei riuscirci?».

«Bisogna che scriva a papà domani stesso. Se mi vedesse in che casa vado, stasera, rimarrebbe a bocca aperta, il vecchio! Cristo, stasera mangerò come lui non ha mai fatto».

L’impegno nel perseguire il riconoscimento del proprio valore è favorita da una carente capacità di lettura delle proprie qualità reali e limiti, cosa che lo fa apparire presuntuoso. Duroy investe sul suo scopo perché lo crede raggiungibili, perché crede di essere dotato di grandi capacità che persone al loro volta speciali potranno apprezzare. Ogni lavoro o donna è a sua portata, si tratta solo di capire come ottenerlo.

Gli chiese Forestier «Hai la licenza liceale?». «No. Ho fatto fiasco due volte.» «Non fa niente, visto che hai portato a termine gli studi. Se si parla di Cicerone o di Tiberio, più o meno lo sai che roba è?» «Sì, più o meno.» «Bene, nessuno ne sa di più, eccetto una ventina d’imbecilli che non sanno cavarsela lo stesso. Guarda che non è per niente difficile passare per un asso; basta non farsi cogliere in flagrante delitto d’ignoranza. Uno si rigira, schiva le difficoltà, aggira l’ostacolo, e inchioda gli altri con un dizionario alla mano. Sono tutti stupidi come oche e ignoranti come asini.»

«Devo capire il trucco», pensava vedendo certi colleghi con le tasche piene di soldi, senza riuscire a capire con quali mezzi misteriosi si procurassero tanto benessere. E immaginava pieno d’invidia chissà che intrighi ignoti e torbidi, favori fatti, tutto un contrabbando accettato e consentito.

Si ripeteva: «Il mondo è dei forti. Bisogna essere forti. Bisogna essere al di sopra di tutto».

I rapporti interpersonali sono qualcosa di centrale nel funzionamento e nel benessere del narcisista, ma intesi di nuovo come a servizio del proprio rango e del proprio senso di valore personale. Come ci mostra Duroy, i rapporti non sono un valore, ma un mezzo: non c’è piacere, appagamento o gioia nella condivisione, nell’affetto, nell’amicizia o nell’amore. L’altro è il pubblico che gli può dare l’ammirazione aspirata o qualcuno da sfruttare per i propri scopi.

Che avrebbe fatto, ora? Chi avrebbe sposato? Un deputato, come pensava la signora de Marelle, o qualche giovanotto di belle speranze, un Forestier superiore? Aveva qualche progetto, qualche piano, qualche idea precisa? Quanto avrebbe voluto saperlo! Ma perché tanta preoccupazione di quello che avrebbe fatto? Se lo domandò e si accorse che la sua ansia nasceva da uno di quei reconditi pensieri, confusi, segreti, che ci nascondiamo e che scopriamo solo indagando a fondo in noi stessi. Sì, perché non tentare proprio lui quella conquista? Come sarebbe stato forte, con lei, e temibile! Come sarebbe andato in fretta e lontano, e senza rischi! E perché non doveva riuscirci? Sentiva bene che le piaceva, che aveva per lui più che simpatia, un tipo di affetto che nasce fra due nature simili, fatto di reciproca attrazione e di una sorta di tacita complicità. Lo sapeva intelligente, risoluto, tenace; poteva fidarsi di lui. Non l’aveva fatto venire in quella circostanza così grave? E perché l’aveva chiamato? Non doveva vederci una specie di scelta, una specie di confessione, una specie di designazione? Se aveva pensato a lui, proprio nel momento in cui stava per diventare vedova non era, forse, perché aveva pensato a colui che sarebbe diventato il suo nuovo compagno, il suo nuovo alleato? Lo Non doveva vederci una specie di scelta, una specie di confessione, una specie di designazione? Se aveva pensato a lui, proprio nel momento in cui stava per diventare vedova non era, forse, perché aveva pensato a colui che sarebbe diventato il suo nuovo compagno, il suo nuovo alleato?

Non sapeva come farle capire che sarebbe stato felice, felicissimo di averla a sua volta per moglie. Certo non poteva dirglielo, in quel momento, in quel luogo, davanti a quel morto; tuttavia poteva, secondo lui, trovare una di quelle frasi ambigue, appropriate e complesse, che hanno sensi riposti in ogni parola e che esprimono, nella loro calcolata reticenza, tutto quello che uno vuole. Ma il cadavere lo infastidiva, il cadavere rigido, steso davanti a loro, che avvertiva fra di loro.

Ora era più che mai deciso a ricorrere a tutti i mezzi per sposarla, nel caso lei avesse esitato. Ma si fidava della propria fortuna, del potere di seduzione che sentiva di avere, potere vago e irresistibile che soggiogava tutte le donne.

L’altro è visto come da invidiare o invidioso. Credendo di avere un valore speciale ritiene ingiusto e, dunque, invidia chi ha cose che lui stesso vorrebbe. Infatti, a nessuno, o solo a pochi speciali, sono riconosciuti meriti o diritti paragonabili o maggiori dei suoi, dunque nessuno merita di avere di più. Credendo che quanto lui possiede è desiderabile per chiunque, ogni critica o malevolenza è attribuita all’invida nei suoi confronti.

Si gonfiava di rabbia contro quelle persone sedute e tranquille. A frugargli in tasca si sarebbero trovate monete d’oro, d’argento, spiccioli. In media, ognuno doveva avere almeno due luigi; di sicuro erano un centinaio per ogni caffè; cento volte due luigi fanno quattromila franchi! Mormorava: «Maiali!»

Du Roy schiattava per il trionfo del Padrone. Si era creduto ricco con i cinquecentomila franchi estorti alla moglie, e ora si vedeva povero, spaventosamente povero, paragonando la sua meschina fortuna alla pioggia di milioni cadutagli intorno, senza che avesse saputo raccattarne una goccia. La sua rabbia invidiosa cresceva ogni giorno.

E l’invidia, l’invidia amara, gli cadeva nell’animo goccia a goccia, come un fiele che avvelenava tutte le sue gioie, rendeva odiosa la sua esistenza.

Uno delle caratteristiche tradizionalmente molto studiate nel narcisismo è l’empatia, ipotizzata come deficitaria. In effetti alcune evidenze suggeriscono che il narcisismo è correlato con scarse capacità empatiche (e.g., Watson, Grisham, Trotter, et al., 1984; Porcelli, Sandler, 1995). Dati empirici mostrano che il narcisista è caratterizzato da una marcata difficoltà a svolgere compiti di empatia emotiva (il riconoscimento affettivo delle emozioni altrui), a fronte, però, di adeguate capacità di empatia cognitiva, intesa come capacità di riconoscere le emozioni dell’altro e di capirne le ragioni (Ritter, Dziobeck, Preißler et al., 2011).

In altri termini la scarsa empatia, più che espressione di una incapacità sembra una modalità di fronteggiare una difficoltà a regolare le proprie emozioni di disagio, vissute come poco tollerabili (Eisenberg e Fabes, 1994; Ronningstam, 2009). Le emozioni altrui possono elicitare disagio, che si esprime in reazioni aggressive o di ritiro dalla relazione. Come suggerito da Mancini e Mancini (in corso di stampa), più che espressione di una difficoltà o incapacità, la scarsa empatia sembra essere contestuale e legata agli scopi attivi; i narcisisti manifestano capacità empatiche intatte quando i loro scopi non sono minacciati, vale a dire laddove il proprio valore personale non è intaccato dai comportamenti e stati emotivi dell’altro. Questa oscillazione nelle capacità empatiche è evidente in Duroy: da un lato ha abilità straordinarie nel comprendere gli stati mentali dell’altro e nell’usarli in funzione dei propri scopi (per es. intuisce bene cosa è utile dire e fare per attrarre una donna; sa cosa è utile per essere apprezzato dai suoi superiori), dall’altro, pur capendoli, non ha alcun interesse per i sentimenti dell’altro, arrivando a disprezzarli quando lo ostacolano. È interessante vedere come Duroy diventi crudele e insensibile agli stessi sentimenti di amore che prima ha cercato con impegno, non perché non li comprende ma perché sono un “fastidio”.

Annoiato da quelle scene e già sazio di quella donna matura e drammatica, s’era semplicemente allontanato, sperando che l’avventura sarebbe finita lì. Ma lei allora gli si era aggrappata perdutamente, buttandosi in quell’amore come ci si butta in un fiume con la pietra al collo. (…) Ma, disgustato dall’amore (…), aveva raggiunto ormai una ripugnanza invincibile; non poteva più vederla, né sentirla, né pensare a lei senza ira.

Come si vede, più che una mancata comprensione delle emozioni e pensieri dell’altro, vi è in alcune circostanze indifferenza o rabbia. Empatizzare con il dolore o emozioni dell’altro è precluso solo e quando le emozioni dell’altro rappresentano una minaccia al proprio valore o al proprio senso di stabilità emotiva.

Benché non sia tra i criteri diagnostici, molti autori, per esempio Dimaggio e Semerari (2003), ritengono che un’altra caratteristica del narcisismo sia una peculiare difficoltà a identificare i propri stati interni e di collegarli alle variabili relazionali. Questo aspetto lo troviamo in Duroy quando, trovatosi ad affrontare un duello, senza averlo scelto e sentendosi impreparato, non riconosce e comprende la paura che prova e non riesce a regolarla l’unica uscita è con un coping di evitamento.

Doveva respirare a bocca aperta per qualche secondo, tanto rimaneva oppresso. Cominciò a ragionare filosoficamente sulla possibilità di quella cosa: «Se avessi paura?». (…). Certamente non aveva paura, poiché era risoluto ad andare fino in fondo, poiché aveva la volontà ben salda di battersi, di non tremare. Ma sentiva di essere così profondamente emozionato che si chiese: «Si può avere paura nostro malgrado?».

Poi si mise l’anima in pace grazie all’innata superficialità che gli faceva trascurare le cose sgradevoli della vita.

Passando dalla diagnosi al profilo interno, ci chiediamo: cosa regola il comportamento di una persona come Duroy? Gran parte dei suoi comportamenti diventano più leggibili se teniamo presente quello che, come già detto, sembra lo scopo dominante nel disturbo narcisistico, cioè quello del valore personale, inteso come rango sociale (Mancini e Mancini, in corso di stampa). La strategia di coping alla minaccia al rango prevalentemente usata dal paziente per proteggere il proprio scopo di essere speciale è l’ipercompensazione, che si traduce nella tendenza a farsi grande agli occhi degli altri, assumendo un atteggiamento di sprezzante distacco e superiorità e perseguendo obiettivi associati ad un altro rango.

Quale e dove allora la sofferenza? Perché diciamo che Duroy è affetto da un disturbo narcisista, piuttosto che descriverlo come un bel furfante, affascinante, ambizioso, presuntuoso? Cosi in effetti sarebbe se Duroy semplicemente credesse pienamente nel suo valore, avesse grandi ambizioni, le raggiungesse e ne fosse soddisfatto. Quello che invece si osserva è un perpetuo ricercare, inseguire, proteggere un rango alto nel proprio senso di valore personale.

Il problema è che il valore personale non è uno scopo mai del tutto ottenibile in modo stabile; questo per diverse ragioni. La prima è che lo scopo del valore sovrainvestito è definito in termini di anti-scopo: non è definito il punto di arrivo, ma lo stato da cui fuggire, vale a dire lo svilimento del proprio valore. Questo implica che il senso di valore non è vissuto dal narcisista come uno stato certo e stabile, ma come uno stato da preservare e proteggere da minacce.

La fragilità del narcisista in questo senso risiede proprio in un senso molto instabile di valore personale (Mancini e Mancini, in corso di stampa): quando lo scopo di specialità viene minacciato o compromesso, il sé è vissuto come vulnerabile alla perdita di status e gli altri sono vissuti come persecutori ingiusti e invidiosi. Questo rende il narcisista molto esposto a emozioni come la vergogna e il senso di umiliazione e, più in generale, molto sensibile al giudizio e riconoscimento esterno; quando non c’è precipita in uno stato ansia o anche di disperazione, in cui tutto gli appare perduto.

Tutto sapeva di vergognosa miseria, la miseria delle camere d’affitto di Parigi. E si rivoltò esasperato contro la povertà della sua vita. Si disse che doveva andarsene di lì, immediatamente, che doveva farla finita da domani con quell’esistenza pitocca. Travolto da un subitaneo furore di lavoro, si rimise al tavolo e ricominciò a cercare le frasi (…). Avvertiva debolmente che gli venivano delle idee; avrebbe potuto dirle, forse, ma non poteva assolutamente formularle con parole scritte. Febbricitante per la propria impotenza, si alzò di nuovo, le mani umide di sudore, col sangue che gli batteva alle tempie. (…) Tutta la sua gioia scomparve in un baleno, insieme alla fiducia in sé stesso, alla fede nell’avvenire. Era finito; tutto era finito, non avrebbe fatto nulla, non sarebbe stato nulla; si sentiva vuoto, incapace, inutile, condannato.

Non sarebbe stato altrettanto turbato di fronte a una fanciulla ignara; ma l’intelligenza guardinga e consumata di Madeleine gli bloccava ogni naturalezza. Aveva paura di apparirle sciocco, troppo timido o troppo brutale, troppo lento o troppo precipitoso.

I rapporti sentimentali sono una delle aree in cui il senso di valore è minacciato. Non è raro che i narcisisti arrivino in terapia su sofferenze sentimentali. Infatti, se da un lato c’è il senso di sé grandioso che fa aspirare a tanti amori e ad amori con persone speciali, che appaiono come una gratificazione e conferma del proprio senso di valore, dall’altra gli stessi amori facilmente diventano una minaccia.

Finalmente gliene era capitata una, una donna sposata! una donna del mondo bene! del mondo bene vero! del mondo parigino! Com’era stato facile e inaspettato! (…). Lei aprì le braccia e gli cadde sul petto; poi, sollevò la testa verso di lui e si baciarono a lungo. Duroy pensava: «E più facile di quanto credevo. Va tutto magnificamente». (…) Sicuramente aveva già avuto altri amanti, ma di che tipo? di quale mondo? Gli si svegliava dentro una vaga gelosia, una specie di ostilità verso di lei, un’ostilità per tutto quello che ignorava, per tutto ciò che di quel cuore e di quella esistenza non gli era appartenuto.

La gelosia è uno dei modi più caratteristici in cui si manifesta nel narcisista la minaccia al valore nei rapporti sentimentali. Dalla gratificazione per un amore corrisposto, il narcisista precipita facilmente in uno stato mentale in cui l’amato è una persona che può o vuole umiliarlo, in una persona di cui non ci può fidare e da cui proteggersi. Duroy dopo averne sposato la moglie, si tormenta nella gelosia dell’amico defunto.

La parola Forestier gli feriva l’orecchio; aveva paura di udirla, e udendola si sentiva arrossire. Quel nome era per lui una beffa straziante, più che una beffa, quasi un insulto. Gli gridava: «È tua moglie che fa il tuo lavoro, come faceva quello dell’altro. Tu non saresti nulla senza di lei». Riconosceva tranquillamente che Forestier non sarebbe stato niente senza Madeleine, ma quanto a lui, via! (…) Non poteva toccare un oggetto senza vederci subito la mano di Charles sopra. (…) E il suo rancore si alimentava ogni giorno di mille particolari insignificanti che lo pungevano come colpi di spillo, del ricordo incessante dell’altro evocato da una parola di Madeleine, da una parola del domestico, da una parola della cameriera.

«Dimmi, Made». «Che, amore mio?» «L’hai fatto cornuto, quel povero Charles?» (…). E la quasi certezza che lei aveva ingannato il suo primo marito ora lo faceva impazzire di rabbia. Aveva voglia di picchiarla, di strozzarla, di strapparle i capelli. Oh! se gli avesse risposto: «Ma, amore mio, se avessi dovuto ingannarlo, l’avrei fatto solo con te». Come l’avrebbe baciata, stretta, adorata!

Sentiva per la prima volta l’angoscia confusa del marito che sospetta! Era geloso, insomma, geloso per il morto, geloso per conto di Forestier! geloso in un modo strano e lancinante, in cui entrava un’improvvisa punta d’odio contro Madeleine. Se aveva ingannato l’altro come poteva, lui, fidarsi di lei?

Poi, poco a poco, una specie di calma gli entrò nella mente e, irrigidendosi contro la propria sofferenza, pensò: «Tutte le donne sono puttane, bisogna usarle e non concedere nulla di sé».

Una via d’uscita dalla gelosia è, come si vede nell’ultima frase, abbassare il rango della persona amata, svalutarla. Se l’altro non vale, se è inferiore, allora smette di essere una minaccia. Una variante, che spesso si osserva nei narcisisti, è fronteggiare una possibile umiliazione del tradimento tradendo e scegliendo una sorta di infedeltà preventiva (ben spiegata dalla battuta riferita da un’amica: “se scopro che mi tradisce devo sempre potergli dire: anche stavolta sono arrivata prima io!”).  Un altro modo per usciere dalla sofferenza, simile al tradimento, è chiudere la relazione per sottrarsi alla possibilità di essere tradito o abbandonato.

L’amore, dunque, è molto cercato e, spesso, ottenuto. La gratificazione nel narcisista, però, è poco duratura. Potremmo dire che amare è da un lato una delle massime realizzazioni di valore personale, dall’altra è l’inizio di uno stato di minaccia. Le relazioni sono sicure solo quando non c’è amore o stima, vale a dire quando l’abbandono dell’altro non è una minaccia in quando non lo si ama e non sarebbe una perdita; opporre quando lo si svaluta, che quindi non può minacciare il proprio valore. Il narcisista è, dunque, destinato a circuitare tra ricerca dell’amore e perdita di interesse se pienamente appagato (l’altro perde di valore e rango) o sofferenza se l’altro non è percepito come del tutto, intimamente e stabilmente conquistato.

Riprendendo la domanda quale è e dove è la sofferenza del narcisista, la risposta è nei processi circolari descritti sopra, nell’impossibilità di raggiungere in modo stabile lo scopo del valore personale, cosa può esporre il narcisista a molte minacce e frustrazioni del suo scopo. Il livello di frustrazione è più alto laddove il narcisista sia poco dotato (ad esempio non è attraente, ha abilità intellettuali modeste). Una situazione particolare è quella del narcisista cover, più difficile da riconoscere in quanto manifesta poco il senso di grandiosità o superiorità, che viene cercata soprattutto in fantasie compensatorie e nel mondo interiore; in questo caso, però, non impegnarsi attivamente nello scopo è solo un’evitamento della possibile frustrazione del suo scopo, ma non la rinuncia a esso o alla credenza di maggiori diritti e meriti speciali.

Per il narcisista è, dunque, molto difficile essere felice o, se vogliamo, stare in uno stato di benessere e equilibrio emotivo. Per quanto si affanni, lo scopo è sempre li ancora da raggiungere.

Seguendo le vicende di Duroy (e poi di “du Roy”) osserviamo da dentro che quando uno scopo come il valore personale è iperinvestito è difficile raggiungere un punto di equilibrio. Quale è infatti il punto di stop dell’essere certi di aver ottenuto e dimostrato un altro valore personale e di essersi sufficientemente messi al sicuro dallo scenario contrario? è difficile darsi un tetto e questo inevitabilmente porta a un’alternanza di momenti di esaltazione e soddisfazione quando il proprio rango sale o è riconosciuto, ma ogni segnale contrario è vissuto come una minaccia grave. E ci può essere sempre qualcuno più ricco, bello, potente sulla propria strada.

Il finale del libro descrive bene questa difficoltà di stare in uno stato di equilibrio anche quando lo scopo appare ampiamente raggiungo; immediatamente emerge un altro modo per raggiungere il senso di valore desiderato.

Da tre mesi l’avvolgeva nell’irresistibile trama della sua tenerezza. La seduceva, la catturava, la conquistava. Si era fatto amare da lei come sapeva farsi amare. Aveva colto senza fatica la sua delicata anima di pupattola.  (…) Gli sembrava che una forza lo spingesse, lo sollevasse. Diventava uno dei padroni della terra, lui, lui, il figlio dei due poveri contadini di Canteleu.

Mentre, però, sta entrando con il matrimonio nel mondo che desidera, Duroy guarda l’amante e fantastica su ciò che non ha e che desidera ancora ottenere.  L’infelicità del narcisista è, appunto, in questo ciclo continuo in cui quanto ottenuto non appaga mai.

Per approfondimenti:

Dimaggio, G., Semerari, A., (2003), I Disturbi di Personalità. Modelli e Trattamento. Stati Mentali, Metarappresentazione, Cicli Interpersonali. Laterza, Bari.

Eisenberg, N., Fabes, R. A., Murphy, B., Karbon, M., Maszk, P., Smith, M., O’Boyle, M., Karen, C.S., (1994), “The relations of emotionality and regulation to dispositional and situational empathy-related responding”. In Journal of Personality and Social Psychology, 66, pp. 776–797.

Mancini A., Mancini D. (in corso di stampa). Il ruolo degli scopi nei disturbi di personalità.

Porcelli, J.H., Sandler, B.A., (1995), “Narcissism and empathy in steroid users”. In The American Journal of Psychiatry, 152, pp.1672–1674.

Ritter, K., Dziobek, I., Preißler, S., Rüter, A., Vater, A., Fydrich, T., Lammers, C-H., Heekeren H.R., Roepke, S. (2011), “Lack of empathy in patients with narcissistic personality disorder”. Psychiatry Research, 187, 1–2, pp. 241–247.

Ronningstam, E.F. (2009), “Narcissistic personality disorder: facing dsm -V”. In Psychiatric Annals, 39, pp. 111–21.

Watson, P.J., Grisham, S.O., Trotter, M.V., Biderman, M.D., (1984), “Narcissism and empathy: validity evidence for the narcissistic personality inventory”.  In Journal of Personality Assessment, 48, 301–305.