Il terapeuta e le difficoltà incontrate

Matilde è una paziente che da subito mi ha intrigato, ma allo stesso modo mi ha messa in reale difficoltà. Il punto è che fin dalla definizione della sua richiesta di aiuto mi sono chiesta quale realmente fosse e se io potessi aiutarla.

L’assoluta confusione emotiva di Matilde, non si traduce solo in un dialogo sconnesso e dissociato, ma in un eloquio monocorde, in cui i problemi sono presentati con la stessa tonalità emotiva, con una scarsa disponibilità ad addentrarvisi e a sviscerarli . Ovvero la sensazione che mi passa è quella che la paziente mi stia facendo un elenco delle situazioni della sua vita, così come si susseguono, ma senza un sufficiente margine introspettivo.

La mia difficoltà credo consista nell’entrare dentro questo resoconto di vita, o forse nell’entrare con lei nel suo racconto. Perché, ogni qualvolta tento questa strada mi sembra di essere sola, in quanto la paziente, piuttosto che seguirmi si rifugia nella narrazione asettica, quanto per lei drammatica, del suo vissuto.

Tale difficoltà credo si possa riassumere nell’ostacolo ad integrare coerentemente gli aspetti della sua esperienza, nel senso che proprio nel momento in cui sembra di aver colto almeno in parte il fulcro del suo disagio, la paziente introduce altri temi che si sovrappongono impedendo di mantenere un piano lucido e coerente di intervento.

Ultimamente ho iniziato ad esplicitare molto di più con lei le mie sensazioni rispetto al suo racconto, mettendomi in discussione e ridefinendo con lei i momenti in cui si susseguono e sovrappongono troppi problemi per volta, ad altri in cui fatichiamo a  delineare il fulcro del problema. Credo infatti che questo tipo di intervento sia utile per iniziare a favorire nella paziente un minimo di differenziazione e riconoscimento dei propri bisogni.

Come terapeuta, inoltre, mi sono resa conto di quanto sia difficile convivere con il dubbio di comportamenti suicidari da parte della persone che si seguono in terapia.

Questi momenti di allarme e frustrazione per il proprio intervento rappresentano comunque dei validi test e spunti di autoanalisi per la tenuta del terapeuta stesso.

La sera che sono stata infatti contattata dall’ex ragazzo di Matilde, infatti, nonostante sul momento abbia avuto la lucidità per fornire le indicazioni più adeguate, sono poi iniziate una serie di preoccupazioni. Ho infatti iniziato a fare un esame del lavoro condotto con la paziente per indagare se davvero avessi tenuto in considerazione sufficientemente l’ipotetico rischio suicidario, o ancora se fossi stata in grado di aiutarla nel disporre di strategie per far fronte al rischio stesso.

Riflettendo sulle ragioni della richiesta da parte della paziente di un momentaneo periodo di standby ritengo che oltre ad un verosimile ed oggettivo impedimento economico, possa esserci probabilmente una necessità di assimilare il tipo di proposte e di lavoro che portiamo avanti in terapia. Ipotizzo che per lei, così abituata ad una immediata e piacevole soddisfazione fisica, sia davvero arduo, infatti, il compito di sentirsi (forse o sicuramente senza averne consapevolezza) nella condizione di iniziare a ridimensionare e riconcettualizzare la propria esperienza nei termini di un riconoscimento e attribuzione di un nome ai propri bisogni.

 

Veronica Luna

Unità Operativa Tutela Minori dell’Ulss n°5 Ovestvicentino

Specializzata APC Verona, Training A.Ivaldi, C. Perdighe

e-mail: lunaveronica@libero.it