L’anoressia nervosa da un punto di vista cognitivo-comportamentale

 

La maggior parte dei modelli cognitivo-comportamentali per il trattamento dei disturbi alimentari definiscono l’anoressia nervosacome un disturbo caratterizzato da idee disfunzionali nei confronti del peso e delle forme corporee (Garner & Dalle Grave, 1999; Dalle Grave, 1998, 2000, 2001, 2003).

Nell’ottica cognitivo-comportamentale l’anoressia nervosa viene considerata un comportamento alimentare disadattato, e l’obiettivo fondamentale sarà quello di favorire un cambiamento più vantaggioso in grado di modificare le convinzioni errate riguardo il peso e l’aspetto corporeo che permetteranno di sostituire il regime alimentare patologico con comportamenti alimentari più “sani”(Santoni Rugiu et al., 2000), mettendo al corrente il paziente di quali saranno i passi del programma da affrontare e di quali saranno i compiti che lui e la sua famiglia dovranno eseguire (Ruggieri & Fabrizio, 1994).

Secondo la letteratura scientifica cognitiva, il perfezionismo e la bassa autostima vengono considerate come le più importanti credenze disadattive nei disturbi alimentari (Sassaroli et al., 2007; Halmi et al., 2000; McLaren et al., 2001). Secondo Dunkley et al., (2006) il perfezionismo sarebbe caratterizzato da due dimensioni importanti quali standard personali e preoccupazioni valutative, quest’ultima corrisponderebbe alla dimensione che Frost et al., (1990) chiamavano timore degli errori ed è proprio questa la dimensione che per molti studiosi starebbe alla base di una maggiore rilevanza clinica. Il timore degli errori rappresenta una credenza maladattiva di tipo ansioso che induce il soggetto a sovrastimare gli eventi minacciosi e di conseguenza ad una paura molto intensa di fallimenti dopo prestazioni molto importanti. I soggetti con disturbi del comportamento alimentare tendono ad interpretare ansiosamente ogni imperfezione corporea o del peso come fallimenti catastrofici del loro forte desiderio di una immagine impeccabile (Sassaroli et al., 2007).

Altra credenza di fondamentale importanza nei disturbi alimentari è la bassa autostima. Le persone con disturbi del comportamento alimentare sarebbero caratterizzate da un sentimento pervasivo, vago e generico di non essere sufficientemente qualificate, competenti o adatte alle richieste della vita e trascorrono molto tempo rimuginando proprio su questi pensieri negativi.

Il rimuginio è stato poco studiato nei disturbi del comportamento alimentare anche se alcuni studiosi sostengono che esso svolga un ruolo fondamentale nella psicopatologia di questi disturbi (Sassaroli et al., 2007; Sassaroli et al., 2005; Sassaroli & Ruggiero, 2005; Kerkhof et al., 2000). I soggetti con DCA infatti passano molto tempo preoccupandosi e pensando al peso, al grasso e alla forma corporea poiché essi temono proprio delle conseguenze negative legate ad essi (relazioni interpersonali, senso di autoefficacia, paura di essere criticati o disprezzati dai genitori, dai coetanei, ecc.).Secondo Sassaroli et al., (2007) uno dei fattori di mantenimento più importanti del rimuginio sia un processo metacognitivo. Secondo Wells (2000) il rimuginio patologico è mantenuto da credenze metacognitive positive e negative riguardanti i vantaggi e i pericoli del rimuginare, a loro volta queste credenze diventano oggetto del rimuginio che viene chiamato “meta-worry” (meta-rimuginio).

Un fattore che sembra caratterizzare i DCA sembra essere la mancanza di autonomia personale. Nello specifico in una ricerca Esposito et al. (2007) affermarono che nei disturbi del comportamento alimentare il normale processo decisionale, e dunque la capacità di autonomia interpersonale, venga impedito dalla difficoltà nell’esperienza del piacere e delle emozioni.

Certi fattori individuali, familiari e socioculturali possono essere considerati come condizioni prossimali che mantengono il disturbo. I fattori di mantenimento sono divisi in specifici e non specifici.

Tra i fattori di mantenimento specifici troviamo (Garner & Dalle Grave, 1999; Beck, 1987, 1990; Dalle Grave, 2001, 2000, 1998; Dalle Grave et al., 1993; Faiburn et al., 2003):

Schema di autovalutazione disfunzionale. Le persone che soffrono di un disturbo alimentare hanno una valutazione di sé basata in modo esclusivo e predominante sul peso, le forme corporee e sul controllo dell’alimentazione. Diversamente, le persone che non hanno disturbi dell’alimentazione si valutano in base alla percezione delle loro prestazioni in diverse aree: scuola, relazioni interpersonali, sport, amicizie, ecc.. Questo schema di autovalutazione rappresenta dunque il nucleo patologico centrale dal quale dipendono tutti gli altri fattori di mantenimento dei Disturbi dell’Alimentazione. Come la persona valuta se stessa è di primaria importanza nel mantenimento dei disturbi dell’alimentazione: la maggior parte delle caratteristiche presenti, i pensieri e le preoccupazioni che la paziente porta in terapia sono spiegabili direttamente a partire da questa psicopatologia nucleare: un soggetto con DCA si preoccupa molto per il peso e le forme corporee, fa esercizio fisico, usa lassativi, diuretici e ha comportamenti di controllo dell’alimentazione e del corpo solo se pensa che il peso e le forme corporee siano di primaria importanza per valutare se stesso. L’unico comportamento non legato direttamente allo schema di valutazione disfunzionale è l’abbuffata in quanto sembra essere la conseguenza del restringere l’alimentazione o del bisogno di modulare emozioni intollerabili; la psicoterapia cognitivo comportamentale dei Disturbi Alimentari ha l’obiettivo di portare il paziente a costruirsi uno schema di autovalutazione più funzionale. Per far questo è necessario interrompere tutti i fattori cognitivi e comportamentali innescati dallo schema di autovalutazione i quali contribuiscono a mantenere lo schema stesso.

Pensieri e preoccupazioni per il peso e le forme corporee e il controllo dell’alimentazione. I soggetti con DCA al cospetto di situazioni che possono attivare lo schema di autovalutazione disfunzionale hanno pensieri automatici, che operano al di fuori della propria consapevolezza ma che possono essere identificati, che riguardano il peso, le forme corporee e l’alimentazione. Ad esempio, una paziente che dopo essersi pesata scopre di essere aumentata di pochissimo (non importa se arrivi o meno ad un chilo) potrebbe avere un pensiero automatico del tipo “ho perso il controllo, ingrasserò all’infinito” e da questo pensiero potrebbero attivarsi una serie di preoccupazioni inerenti il peso, le forme del corpo e l’alimentazione che potrebbero di conseguenza indurla a continuare a rimuginare sul fatto di essere grassa, di aver fallito o di non piacere più a nessuno. I pensieri automatici ed ancor di più le preoccupazioni per l’alimentazione, il peso e le forme del corpo mantengono in un continuo stato di attivazione lo schema di autovalutazione disfunzionale, che a sua volta produce preoccupazioni sugli stessi argomenti.

 Rinforzo positivo. I rinforzi che possono contribuire a mantenere il paziente all’interno del disturbo alimentare sono rinforzi cognitivi e rinforzi sociali-interpersonali. I rinforzi cognitivi sono caratterizzati dal senso di trionfo, di autocontrollo e di superiorità che un soggetto percepisce quando riesce a controllare l’alimentazione, il peso e le forme del proprio corpo., mentre i rinforzi sociali-interpersonali sono caratterizzati da commenti positivi da parte di altre persone che il soggetto può ricevere con una iniziale perdita di peso, soprattutto se era un po’ in soprappeso. È importante sottolineare la funzione di questo rinforzo che, a differenza dei rinforzi sociali, continua ad essere attivo anche quando il soggetto è in un evidente stato di emaciazione.

Rinforzi negativi. La perdita di peso può far evitare alcune situazioni avversive, come ad esempio avere un corpo da donna adulta e i conflitti e le sfide psicosessuali tipiche dell’adolescenza. Il dimagrimento, con la conseguente assunzione di caratteristiche fisiche e psicologiche prepuberi, per alcune persone può costituire un nido sicuro che protegge dalle sfide ambientali dell’adolescenza.

 Dieta ferrea. La dieta implicata nei disturbi alimentari è una dieta inflessibile, ferrea, che deve essere rispettata alla lettere. Il soggetto con un Disturbo dell’Alimentazione si impone di seguire rigidamente un’alimentazione restrittiva che se non viene eseguita alla lettera lo induce ad un profondo senso di fallimento che scatena profondi sensi di colpa. Molto spesso questa “dieta” induce il soggetto a saltare i pasti, ridurre le porzioni di cibo, eliminare alcuni cibi. La dieta rappresenta dunque in questo modo un potente fattore di mantenimento in quanto: incrementa lo sviluppo di pensieri e preoccupazioni nei confronti dell’alimentazione, che a loro volta mantengono attivo lo schema di autovalutazione disfunzionale. Ecco dunque che più il soggetto fa la dieta più pensa al cibo perché più salta i pasti, più avverte fame e più inevitabilmente inizia a pensare al cibo; porta al basso peso corporeo e conseguentemente favorisce la sindrome da digiuno; favorisce la comparsa di abbuffate che a loro volta contribuiscono a mantenere il disturbo. Inoltre, la dieta ferrea determina immediatamente un senso di benessere dovuto all’ eccessiva produzione di endorfine e di oppioidi endogeni, fenomeno funzionale alla ricerca del cibo e che determina iperattività, riduzione della stanchezza e del sonno e accentuazioni dei sensi.

Esercizio fisico eccessivo. Si parla di esercizio fisico eccessivo se è tale da interferire con attività giornaliere importanti, oppure se è praticato in ore o in posti impropri ed è protratto nonostante condizioni mediche non adeguate. Generalmente l’esercizio fisico viene eseguito in modo compulsivo e soprattutto in solitudine ed è portato avanti per molte ore in modo estenuante. Una caratteristica particolare di questo comportamento è rappresentata dal fatto che le pazienti trovano molto difficile rinunciarvi, anche quando i costi superano notevolmente i benefici. Spesso infatti, le pazienti vanno incontro a complicanze fisiche da eccesso di esercizio fisico proprio per il fatto che nonostante le condizioni avverse non rinunciano a tale comportamento. Questa pratica rappresenta un fattore di mantenimento in quanto: aumenta la preoccupazione per il peso e per le forme corporee: più il soggetto dedica tempo a fare movimento per mantenere il peso e più aumenta la preoccupazione per il peso e le forme corporee; favorisce l’isolamento sociale: più il paziente si isola e più si concentra su se stesso, sul suo peso e sulle forme corporee; produce euforia, sensazione di leggerezza, controllo e benessere psicofisico, sensazioni che possono essere ricercate quando un individuo sperimenta emozioni o sensazioni negative; può causare anoressia e perdita d’interesse per il cibo. A volte l’esercizio fisico può essere effettuato non per perdere peso ma per modulare le emozioni.

Basso peso e sindrome da digiuno. Questa sindrome fu individuata in uno studio effettuato da Ancel Keys et al., 1950 (il Minnesota study)e si caratterizza da importanti modificazioni fisiche, psicologiche e sociali: atteggiamenti e comportamenti nei confronti del cibo (preoccupazione per il cibo, collezionare ricette, libri di cucina e menù, tagliuzzamento del cibo o il nasconderlo, incremento del consumo di caffè, di tè e spezie, occasionali abbuffate accompagnate dai sensi di colpa); modificazioni emotive e sociali (depressione, ansia, irritabilità e rabbia, labilità, talora episodi psicotici, comportamenti autolesionistici, isolamento sociale) modificazioni cognitive (diminuita capacità di concentrazione, diminuita capacità di pensiero astratto, apatia) modificazioni fisiche (disturbi del sonno, debolezza, disturbi gastrointestinali, ipersensibilità al rumore e alla luce, edema, ipotermia, parestesie, diminuzione del metabolismo basale, diminuzione dell’interesse sessuale);aumento della fame e precoce senso di sazietà. La sindrome da digiuno mantiene il disturbo dell’alimentazione in quanto: aumenta la preoccupazione per il cibo inducendo il soggetto alla paura di perdere il controllo sull’alimentazione, di mangiare troppo ed ingrassare all’infinito e di conseguenza per evitare ciò egli tende ad impegnarsi ancora di più per ottenere controllo e restrizione; l’intensa fame aumenta la percezione del rischio di incorrere in abbuffate e perdere il controllo per evitare ciò restringe ancora di più l’alimentazione; il precoce senso di sazietà e pienezza dovuto al rallentato svuotamento gastrico secondario alla denutrizione può essere vissuto come un fallimento dell’autocontrollo e portare il soggetto a restringere ulteriormente l’alimentazione; la diminuita capacità di concentrazione può essere vissuta come una minaccia nel senso di autocontrollo dell’individuo dato che può determinare, a volte, una riduzione nella capacità di seguire gli eventi e di prevedere ciò che può succedere aumentando in conseguenza a ciò il controllo; determina isolamento sociale che da una parte impedisce lo sviluppo di relazioni positive che possono migliorare l’autostima, dall’altra favorisce l’uso dell’alimentazione, del peso e delle forme corporei come mezzi principali per valutare se stessi; genera uno stato di ansia che da una parte può portare ad utilizzare il controllo dell’alimentazione per ridurre tale stato, dall’altra può favorire le abbuffate che a loro volta aumentano nuovamente la preoccupazione per il peso e le forme corporee;aumenta l’irritabilità la quale determina un aumento della perdita di controllo che a sua volta intensifica i pensieri, le preoccupazioni, i comportamenti eliminativi e di compenso; aumenta la depressione che peggiora l’autostima e favorisce l’uso dell’alimentazione, del peso e delle forme corporei come mezzi di autovalutazione; determina una diminuzione dell’interesse sessuale che impedisce lo sviluppo di relazioni con soggetti del sesso opposto

Le abbuffate. Questo meccanismo di compenso mantiene il disturbo per diversi motivi: dopo i primi momenti di piacere il soggetto che ha compiuto un’abbuffata può sperimentare un’intensa paura di ingrassare, con un aumento della preoccupazione per il peso e forme del corpo. Questa condizione porta alla messa in atto di diversi comportamenti restrittivi, come il digiuno o l’esercizio fisico eccessivo, o di compenso come l’uso di vomito, lassativi e diuretici, e tali comportamenti, a loro volta, contribuiscono a mantenerne il disturbo; favoriscono la comparsa di emozioni negative intense e di una nuova abbuffata atta a modularle; favoriscono la comparsa di forte autocritica per il mancato controllo e attivano, così, lo schema di autovalutazione disfunzionale.

Vomito auto-indotto. E’ un comportamento di compenso che può essere messo in atto dopo abbuffate oggettive o soggettive. Questo comportamento si riscontra in pazienti con anoressia nervosa di tipo abbuffate/condotte di eliminazione e bulimia nervosa ma non lo si ritrova in pazienti con disturbo da alimentazione incontrollata. Quando un soggetto si procura il vomito lo fa con l’intenzione di eliminare tutto le calorie assunte durante l’abbuffata. Il vomito rappresenta un fattore di mantenimento per diversi motivi: determina una riduzione del controllo sull’alimentazione in quanto portando il soggetto a pensare di poter eliminare tramite il vomito tutto il cibo assunto, egli perde il controllo sull’alimentazione e si abbuffa. Tuttavia, dato che il soggetto si valuta sulla base di quanto riesce a controllare l’alimentazione finisce per criticarsi e sperimentare forti sensi di colpa; favorisce lo sviluppo di abbuffate oggettive (più lo stomaco è pieno più è facile vomitare); può comparire un’infiammazione di alcune ghiandole salivari (le parotidi) che aumentano di volume determinando un gonfiore caratteristico nella regione anteriore del collo dando al volto un aspetto rotondo e paffuto destando nei soggetti la sensazione di essere ingrassati inducendoli quindi ad intensificare la pratica eliminatoria (Santoni Rugiu et al., 2000); crea uno stato di deprivazione psicobiologica che, con gli stessi meccanismi descritti per la dieta ferrea, facilita le abbuffate;peggiorano la valutazione negativa attivando lo schema di autovalutazione disfunzionale.

Uso improprio di lassativi. E’ un comportamento meno frequente rispetto all’uso del vomito auto-indotto. L’utilizzo di essi può essere saltuario, allo scopo di eliminare le calorie assunte in eccesso durante un’abbuffata (in questo caso il comportamento ha le stesse finalità e gli stessi meccanismi di mantenimento descritti per il vomito auto-indotto), o regolare indipendentemente dal verificarsi o meno di abbuffate (in questo caso è un comportamento che può essere paragonato alla dieta ferrea). L’uso di lassativi è una pratica rischiosa e poco efficace. I lassativi inoltre sono potenti irritanti le pareti addominali che vengono continuamente stimolate da questi ultimi a contrarsi per espellere il contenuto provocando con il tempo gravi danni. Inoltre proprio perché agiscono solo sulla seconda parte dell’intestino, tendono a determinare soprattutto perdita di liquidi provocando come i diuretici la sensazione di essere meno “gonfi”. In realtà i lassativi ingeriti dopo i pasti permettono di perdere solo il 15% delle calorie consumate (Bo-Lynn et al., 1983; Santoni Rugiu et al., 2000), viene invece perduta una notevole quantità di acqua corporea che porta all’errata concezione di perdita di peso.

Uso improprio di diuretici. L’assunzione di diuretici non ha nessun effetto sull’assorbimento delle calorie ma causano solamente una temporanea modificazione del bilancio idrico che determina il cosiddetto effetto “pancia piatta” che scompare appena si assumono nuovamente liquidi, per questo motivo i soggetti che utilizzano diuretici li assumono regolarmente trasformando questo comportamento in una pratica molto pericolosa.

 Pillole dimagranti o ormoni tiroidei. Una percentuale ridotta di pazienti utilizza pillole dimagranti oppure ormoni tiroidei che aumentano il dispendio energetico. Tali mezzi sono pericolosi ed inefficaci: i soppressori della fame agiscono solo per un breve periodo di tempo mentre gli ormoni tiroidei determinano principalmente una perdita di massa muscolare. Una pratica che viene spesso effettuata da pazienti con diabete di tipo 1 è caratterizzata dalla riduzione di insulina dopo un’abbuffata con conseguente aumento di zuccheri nel sangue, che superando la soglia renale di eliminazione del glucosio, vengono eliminati con le urine.

Food-checking. Altro comportamento molto diffuso è quello del controllo sistematico del cibo attraverso il contare le calorie, pesare il cibo di continuo, tagliuzzarlo in piccoli pezzi, scolare l’olio. Il food checking contribuisce a mantenere il disturbo dell’alimentazione aumentando i pensieri e la preoccupazione che a loro volta attivano lo schema di autovalutazione disfunzionale.

 Body checking. I soggetti con anoressia nervosa passano molto tempo al giorno ad ispezionare, scrutare, misurare e controllare il proprio aspetto fisico; ispezionando in dettaglio il proprio corpo davanti allo specchio; misurando le parti del corpo con un metro; pesarsi spesso; confrontare il proprio corpo con altre persone e/o con le modelle dei giornali e della televisione; chiedere rassicurazioni sul proprio aspetto fisico. Il body checking è un meccanismo di mantenimento del Disturbo Alimentare per diverse ragioni:

– maggiore è il tempo passato a controllare le parti del corpo e maggiore è la preoccupazione per il peso e le forme che a sua volta mantiene in uno stato di attivazione lo schema di autovalutazione disfunzionale body checking;

– i comportamenti di body checking sono effettuati ponendo un’attenzione selettiva su alcune parti del corpo

Evitamento dell’esposizione del corpo. Un sottogruppo di soggetti tende ad evitare qualsiasi esposizione del proprio corpo; il paziente escogita tutta una serie di meccanismi che gli consentano di mascherare la sua apparenza: indossare abiti che nascondono il corpo, evitare luoghi dove si espone il corpo, evitare il contatto con le persone, evitare di guardarsi. In alcuni casi gravi, l’evitamento arriva fino ha determinare un completo isolamento sociale Gli evitamenti mantengono il disturbo per due motivi: 1. non permettono di fare esperienze che potrebbero sconfermare alcune convinzioni irrazionali nei confronti del proprio peso e delle proprie forme corporee; 2. aumentano la preoccupazione e i pensieri sul peso e le forme corporei mantenendo in continuo stato di attivazione lo schema di autovalutazione disfunzionale.

Sensazione di essere grassi. Molti pazienti riportano spesso la “sensazione di essere grasse” che contribuiscono al mantenimento del disturbo in quanto agiscono sulla percezione dello stato dell’umore che risulta essere negativo (depressivo), sulla percezione degli stati fisici avversi (gonfiore), sulla percezione della risposta affettiva all’alimentazione in eccesso percepita, alla risposta affettiva alla vista del proprio corpo e al proprio peso.

Tra i fattori di mantenimento non specifici dei DCA ma riscontrati in un sottogruppo di pazienti troviamo:

§  Perfezionismo clinico: valutazione di sé eccessivamente dipendente dall’inseguimento e dal raggiungimento di standard personali esigenti ed auto-imposti in almeno un dominio altamente saliente, nonostante le conseguenze avverse (Shafran et al., 2002).

§  Bassa autostima nucleare: visione negativa di sé incondizionata e pervasiva che fa parte permanente dell’identità e che porta a fare delle valutazioni negative su di sé che sono autonome e indipendenti dallo stato del Disturbo dell’Alimentazione.

§  Intolleranza alle emozioni: con il termine “intolleranza alle emozioni” ci si riferisce all’incapacità di tollerare stati emotivi intensi sia negativi, che positivi.

§  Problemi interpersonali: un sottogruppo di pazienti ha problematiche interpersonali che contribuiscono a mantenere il disturbo (lutti, dispute di ruolo, difficoltà nel formare nuove amicizie o nel mantenere quelle in atto, transizioni di ruolo, ecc…, oppure il relazionarsi con altri soggetti che soffrono di DCA o che danno molta importanza al peso e alle forme corporee.