Descrizione dell’intervento-pilota

L’intervento in seguito riportato è il primo gruppo pilota svolto per valutarne la fattibilità clinica, in seguito i successivi gruppi sono stati valutati con gli strumenti sopra descritti.

Il gruppo è composto da 8 pazienti con diagnosi di schizofrenia (età:34+9, scolarità:10+2). Cinque pazienti sono residenti in una Comunità psichiatrica ad alta e media protezione, tre frequentano un Centro diurno e in precedenza hanno avuto ricoveri in comunità protette.

Composizione del gruppo: Daria anni 22, Marcello anni 40, Romina anni 45, Mauro anni 48, Daniele anni 32, Sandra anni 28, Lucia anni 29, Simona anni 28 (i nomi sono inventati).

Il programma dell’intervento pilota è costituito da 13 incontri di gruppo con cadenza settimanale condotti congiuntamente da un’educatrice e da una psicologa. Gli incontri durano 1 ora e trenta minuti e si svolgono in cerchio insieme alle conduttrici.

Primo Incontro

Focus Group. L’obbiettivo dell’incontro è una definizione di cosa sia il pregiudizio, verso quali persone si manifesti più comunemente e in quali ambiti. Innanzitutto si è cercato attraverso il focus group di creare un linguaggio comune al gruppo per quanto riguarda il concetto di pregiudizio. Si è scelto inoltre di affrontare l’argomento partendo da un punto di vista più allargato considerando il pregiudizio un fenomeno di cui è oggetto non solo il paziente psichiatrico, ma un aspetto che riguarda la società nel suo complesso. Viene proposta una visione più ampia del problema affinché emerga dalle loro stesse riflessioni l’idea di essere parte della società, anche se quest’ultima può non essere corretta verso di loro e verso altre persone.

1)      Che cosa significa per voi la parola pregiudizio?

Risposte:

             giudicare in modo negativo a causa della fragilità

             basarsi sulla prima impressione

             accuse, giudizi negativi di conoscenti

             razzismo ossia giudizi negativi verso alcune categorie di persone (ad esempio neri, cinesi, drogati, idee politiche diverse…)

             giudizi dati prima di conoscere le persone

             si parte già per colpire negativamente

             basarsi solo sull’esteriorità senza  guardare l’interiorità

             idea fatta in fretta e incerta

             persone che non hanno informazioni corrette

Una delle conduttrici scrive sulla lavagna le domande, i partecipanti sono sollecitati a rispondere liberamente.

2)      Secondo voi nella società chi sono le persone che maggiormente sono oggetto di pregiudizio?

Sono trascritte le risposte dalle quali si evince l’estensione dello stigma nella società.

Rispetto al tema della malattia mentale, dalle loro risposte emerge solo la descrizione di persone che commettono atti violenti e sono protagoniste dei mass media.

Si evidenzia come la televisione e i giornali con le loro notizie “sensazionali” contribuiscano a perpetuare il pregiudizio poichè riportano solo alcuni aspetti e trascurano altri che fanno meno notizia, ma sono più informativi per la popolazione riguardo a questo argomento. Poiché le politiche sociali per il momento non daranno risultati rapidi, è interessante riflettere su cosa può fare ciascuno per migliorare la situazione nella sua vita quotidiana. Il messaggio che viene rinforzato è il seguente: “È importante che noi stessi diamo informazioni corrette quando si presenta l’occasione e per farlo è necessario essere noi i primi a possederle”.

3)      Secondo voi in quali ambiti si manifesta il pregiudizio?

Le risposte hanno evidenziato la diffusione dello stigma nei vari ambiti di vita, compresi la famiglia ed i luoghi di cura psichiatrici.

Esperienze personali. Sono emersi soprattutto il self-stigma e l’emozione della vergogna. I pazienti temono di rivelare dove vivono e hanno una scarsa conoscenza ed accettazione della malattia.

Diversi membri del gruppo avvertono il pregiudizio quando conoscono nuove persone o incontrano conoscenti e devono rispondere a domande circa il loro vivere in comunità e le motivazioni. Alcuni di loro riferiscono di cercare di evitare questi incontri casuali quando ritornano a casa.

Un altro luogo di pregiudizio è la famiglia, ad esempio il padre di Daria non capiva l’importanza della sua cura farmacologica, arrivando a sconsigliarla. 

Alcuni partecipanti manifestano il bisogno di differenziarsi da quelli che sono reputati “pazienti più gravi”. Ad esempio Romina quando frequenta il Centro diurno si accorge di stare lontano da alcune persone, “magari perché mi sembrano malate più gravemente o perché mi sono arrivate delle informazioni su di loro e penso sia meglio stare per i fatti miei”.

Secondo incontro

Focus Group. Le conduttrici esplicitano le ragioni della scelta di affrontare la malattia mentale come argomento dell’incontro. È importante la consapevolezza di quello che “ci succede” per essere in grado in affrontare situazioni di discriminazione. È utile essere consapevoli e avere informazioni corrette per essere in grado di rispondere e correggere le informazioni sbagliate degli altri. Un obiettivo è fornire strumenti per affrontare la malattia in modo attivo, partecipando alla cura, scegliendo delle strategie che aiutino a riconoscere e gestire meglio alcuni sintomi più manifesti.

1)      In generale che cosa è per voi la malattia mentale?

Risposte:

       disturbi che riguardano la psiche

       parte di noi che ha sofferto

       disturbo del cervello

       disturbo del comportamento ossia compiere atti “fuori dalla norma”

       ansia, panico

       schizofrenia

       non ragionare

       depressione

       paranoia

       isolamento

       dolore

       reazione a un lutto

       passaggio da forme più lievi di malattia a forme più gravi e viceversa

       malattia ereditaria

 

I partecipanti conoscono alcuni nomi di malattia, ma non ne conoscono le caratteristiche specifiche. Una sola persona usa il termine schizofrenia. Viene più tollerata la parola depressione.

2)      Secondo voi qual è il disturbo di cui soffrite? Provate a descriverlo, quali caratteristiche ha, come si manifesta?

Le descrizioni sono basate sulle loro percezioni.

3)      Secondo voi quali sono i segni riconoscibili della malattia mentale ossia quelli più visibili agli altri dall’esterno?

Terzo e quarto incontro

Focus Group. L’obiettivo degli incontri è rendere consapevoli i partecipanti delle credenze presenti nella società circa la malattia mentale a partire dalle loro esperienze con il mondo esterno.

1)       Secondo voi quali sono le credenze delle persone sulla malattia mentale ossia quali opinioni hanno al riguardo?

Risposte:

       malattia causata da demonio o fatture

       credere che i farmaci siano droghe

       essere considerati “pazzi”

       essere considerati pericolosi

       i mass media danno un’etichetta negativa

       considerarci persone inferiori a loro

Esperienze personali:

– racconto di Daria che è stata mandata dall’esorcista dai genitori che non sapevano riconoscere e accettare la malattia. Daria giustifica il loro comportamento attribuendolo alla loro fragilità e all’ignoranza rispetto al disturbo mentale.

– Simona riporta un episodio sgradevole avvenuto durante un’uscita serale, quando si è sentita incompresa da un amico dopo un suo responsabile rifiuto di bere alcolici, a causa della cura farmacologica che sta seguendo. L’opinione dell’amico era che i farmaci siano delle droghe e che bere l’avrebbe aiutata a stare meglio ed a non pensare; la paziente riconosce che tale posizione è dettata dall’ignoranza ma si trova in difficoltà e si sente non compresa e umiliata. Simona riferisce che durante il resto della serata non sapeva come reagire e provava rabbia e impotenza.

– Marcello specifica che bisogna valutare la persona che si ha davanti e che comunque è meglio stare a distanza e farsi i “fatti propri”. Sottolineiamo come anche loro finiscano per condividere alcuni atteggiamenti discriminatori senza rendersene conto (essere considerati pericolosi era stato definito un pregiudizio anche da Marcello all’inizio dell’incontro).

– Lucia racconta un episodio nel quale è stata contenuta fisicamente con dei lacci durante un precedente ricovero in un reparto di psichiatria.  Si tratta per lei di un’esperienza traumatica, non riesce a darsi una spiegazione circa le motivazioni di tale trattamento. Lucia muove delle accuse verso il tipo di cure ricevute, che caratterizza come atti di violenza. La paziente contesta i metodi di cura sperimentati in SPDC paragonandoli a quelli in uso in passato nei manicomi. In riferimento a ciò che pensano gli altri circa la malattia mentale, Lucia afferma di non sentirsi per nulla una persona debole, anzi “mi sento forte proprio perché sono qui”. Lucia spiega al gruppo di sentirsi forte perché ha scelto di farsi aiutare, di non essersi arresa e di essersi impegnata per un percorso terapeutico.

L’ultimo intervento di Lucia è stata occasione di apertura di una discussione su cosa sia il manicomio per i pazienti. Si riscontra ambivalenza e confusione tra la consapevolezza di avere bisogno di cure e sostegno e la fatica di accettare di essere privati della libertà, sia fisica (dentro gli ospedali) sia psichica (necessità degli altri). Dalla discussione emerge la consapevolezza che gli altri possono avere informazioni errate e l’inevitabilità di incorrere in esperienze di pregiudizio (accettazione). Il nuovo punto di vista che si vuole offrire è quello di equipaggiarsi per affrontare tali situazioni per tutelarsi e proteggere la propria autostima.

Quinto incontro

Intervento psicoeducativo. L’obiettivo è di fornire informazioni corrette, basate sulla ricerca scientifica aggiornata, circa la malattia mentale di cui soffrono e correggere le false credenze dei pazienti circa i sintomi, le possibili cause, la prognosi della schizofrenia e l’utilizzo dei farmaci. Lo scopo è di avere meno paura della malattia, dando una spiegazione ai sintomi e alle reazioni e processi mentali. Questo potrebbe favorire una maggiore autostima e diminuire il senso di vergogna nel confronto con gli altri. 

Dopo la parte teorica i pazienti hanno chiesto ulteriori chiarimenti e sono emerse esperienze personali stimolate dagli argomenti proposti.

Le tematiche che hanno suscitato maggiore coinvolgimento e fatto emergere diverse esperienze personali hanno riguardato i farmaci,  il concetto di guarigione e l’opportunità o meno di avere dei figli.

– Daria riferisce come siano stati pesanti per lei gli effetti collaterali dei farmaci in quanto molto visibili all’esterno e la difficoltà di relazionarsi con il mondo esterno. La paziente descrive inoltre la difficoltà dei propri genitori a capire l’importanza della cura e della sua prosecuzione quando i sintomi della malattia erano sotto controllo.

– Simona racconta di avere provato a sospendere l’uso di psicofarmaci senza il consiglio del medico, perché era molto ingrassata e per gli effetti collaterali. In seguito avendo avuto una brusca ricaduta,  ha compreso l’importanza di seguire con costanza la cura, concordare con il medico eventuali modifiche o chiedere aiuto circa la possibilità di ridurre alcuni effetti collaterali. Simona fatica a riconoscere la differenza fra farmaci e droghe, considerandoli a volte come ambivalenti e di conseguenza screditando l’utilità della cura.

Le conduttrici evidenziano come non sia possibile dare garanzie in senso positivo o negativo sull’andamento della malattia mentale. Si cerca di incrementare il senso di potere interno e esterno percepito da pazienti. Per quanto riguarda le risorse interne percepite si sottolinea come di fronte ad eventuali crisi o ricadute sia utile riflettere sulle maggiori risorse di cui dispongono attualmente per fronteggiare le difficoltà e considerare che si ha già sperimentato che si può stare meglio, ricordando a se stessi il percorso già fatto.  Per quanto riguarda le risorse esterne ai soggetti, viene rinforzata l’utilità dell’avere fiducia nell’équipe curante.

Durante la discussione due giovani pazienti manifestano il doloroso dubbio circa la possibilità di “trasmettere” la malattia ad un eventuale futuro figlio e chiedono alle conduttrici se sia meglio per loro non avere figli. Non essendo possibile dare una risposta è stata aperta una discussione. Sono state date alcune informazioni attualmente conosciute rispetto ai fattori genetici, si è sottolineato la diversità di ogni caso dall’altro e la fondamentale importanza di una scelta consapevole, pensata e programmata, risultato di un’attenta riflessione di costi e benefici e del livello di salute della paziente.

Sesto incontro

Intervento psicoeducativo. Obiettivi: trasmissione di informazioni corrette e ampliamento delle conoscenze circa lo stigma e la discriminazione (correlati comportamentali come rifiuto, fuga, marginalizzazione, pressione, ecc.); introduzione della teoria dell’etichettamento e delle cause della stigmatizzazione.

Le conduttrici ribadiscono ai pazienti l’importanza di possedere informazioni corrette circa la propria malattia al fine di rendere più comprensibile ciò che accade loro ed essere maggiormente in grado di cogliere eventuali situazioni di crisi. Ampliare la gamma di informazioni circa le cause e le conseguenze dello stigma legato alla malattia mentale ha lo scopo di renderli più consapevoli e meno “disarmati” rispetto a ciò che possono sperimentare nel mondo esterno. I pazienti possono maturare la capacità di fornire informazioni corrette a chi non le possiede, tentando, quando possibile, di aprire un dialogo più costruttivo con l’altro, basandosi su argomentazioni concrete. Inoltre la capacità di spiegare i dettagli della patologia a chi li circonda, può contribuire a chiarire malintesi anche con le persone più vicine, ad esempio di fronte a critiche ingiustificate di pigrizia, a discorsi che fanno capo alla forza di volontà del paziente. Qualora ciò non fosse possibile, il paziente ha comunque la possibilità di valutare in modo più articolato ciò che gli sta accadendo nella relazione con l’altro, senza attribuirsene la responsabilità totale, come spesso accade. Lo scopo generale è quello di favorire la capacità di padroneggiamento di tali situazioni, per non subirle in modo passivo, alimentando il circolo vizioso che porta al progressivo ritiro dalle relazioni e rinuncia a propri scopi di vita.

Nel gruppo vengono discusse e condivise da tutti alcune conseguenze dell’autostigma quali l’isolamento, la rinuncia e le conseguenze negative sul piano emotivo.

Le conduttrici forniscono esempi concreti di stereotipi, pregiudizi e discriminazione, con esempi tratti da “Il primo libro sullo stigma” (2006):

§   Stigma pubblico. Stereotipo: “Tutte le persone con malattie psichiatriche sono pericolose”. Pregiudizio: “Condivido il giudizio che tutte le persone con malattia mentale sono pericolose e ho paura di loro”- Discriminazione: “Non voglio averle vicino, non ne assumo nella mia attività”

§   Selfstigma. Stereotipo: “Tutte le persone con malattia mentale sono incompetenti”. Pregiudizio: “Ho una malattia mentale quindi sono incompetente”. Discriminazione: “Perché mai dovrei cercarmi un lavoro, sono inaffidabile”.

Esperienze riportate dai partecipanti:

– Romina ribadisce come i mass media riportino solo informazioni sensazionali circa le persone con malattia mentale che commettono atti violenti e vorrebbe che ci fosse più informazione. Giustifica la diffidenza degli altri in quanto anche lei, in precedenza, non conoscendo questa realtà e basandosi sulle informazioni più diffuse, aveva opinioni sbagliate.

Si sottolinea l’importanza quindi di non isolarsi per permettere agli altri di conoscere persone che soffrono di un disturbo e magari cambiare idea, come può accade a molte persone quando fanno esperienze nuove e acquisiscono informazioni che non si aspettavano in precedenza.

– Mauro racconta come la gente a volte manifesti commiserazione per le persone affette da malattia mentale, “dicono poverino”, e come questo lo ferisca e lo faccia sentire “inferiore” agli altri.

L’argomento che ha suscitato maggiori discussioni riguarda il ruolo dei genitori, le reazioni sono state diverse:

– Romina si sente rassicurata dal fatto che i genitori non siano considerati in letteratura come all’origine dello sviluppo della malattia. È dispiaciuta del fatto che i propri genitori si sentano in colpa e si interroghino sui propri sbagli; riconosce alcuni loro errori perché “anche loro non sapevano come comportarsi”, ma ritiene il loro supporto come fondamentale per il suo processo terapeutico. Nell’incontro successivo riferirà di avere utilizzato il materiale informativo fornitole per affrontare l’argomento con i suoi genitori e di avere avuto una serena discussione con loro

– Simona è molto risentita, non è d’accordo, ritiene che i suoi genitori abbiano forti responsabilità.

– Una volta che le operatrici riconoscono la personale esperienza di sofferenza dei pazienti e ricordate alcune cose dette negli incontri precedenti, ad esempio l’ipotesi vulnerabilità-stress, Daria conferma l’ipotesi, autonomamente effettua un confronto con il fratello, il quale pur avendo sofferto per la stessa difficile situazione familiare non ha sviluppato il suo disturbo. Daria riflette sulla scelta del fratello di vivere da solo e ritiene di avere avuto rispetto a lui una fragilità di fondo che non le ha dato la possibilità di affrontare situazioni così stressanti e difficili.

– Simona ha l’opportunità di rivalutare la sua opinione e riporta alcuni esempi di altre persone da lei conosciute che nella loro storia hanno avuto traumi maggiori dei suoi e che poi non hanno sviluppato la schizofrenia. Nel corso dei successivi incontri Simona si mostrerà ambivalente rispetto a questa tematica in seguito all’andamento del rapporto con i genitori, l’emotività del momento carica di rabbia e delusione fa riemergere questi pensieri circa la loro responsabilità nelle sue ricadute. Senza entrare nel merito della questione si è cercato di rinforzarla, non potendo modificare certe dinamiche allo stato attuale, a trovare delle soluzioni per tutelarsi, valutando quando necessario se allontanarsi da situazioni troppo stressanti oppure valutare l’utilità di alcune competenze acquisite nel training di abilità sociali per affrontare piccole situazioni più semplici nel quotidiano.

Settimo incontro: introduzione al training di abilità sociali: aspetti motivazionali.

Il primo obiettivo è identificare quali conseguenze comporta la riduzione o l’eliminazione di alcuni segni di riconoscibilità dello stigma.

Le conduttrici scrivono sulla lavagna i vantaggi e gli svantaggi riportati dal gruppo.

Emerge una certa ambivalenza, da una parte fra il desiderio di modificare alcuni aspetti con tutti i vantaggi che ne conseguono, dall’altra una resistenza al cambiamento in funzione dei costi che questo comporta in termini di perdita della condizione abituale di persone con una “malattia mentale”, come ad esempio la riduzione del supporto sociale e minori aspettative e richieste di autonomia e responsabilità nei loro confronti. Nel gruppo viene condiviso il senso di inferiorità e vergogna vissuto dai partecipanti e viene sottolineato come gli interventi siano stati pensati in risposta a queste difficoltà. Alcuni pazienti vivono con senso di vergogna la visibilità di alcuni sintomi o di alcuni effetti collaterali dei farmaci. Spesso temono che gli altri possano giudicarli negativamente per il fatto che soffrono di una malattia mentale, che devono utilizzare dei farmaci, che non sono in grado di mantenere un lavoro.

Il secondo obiettivo è identificare e favorire aspettative realistiche rispetto alle reazioni del mondo esterno ai loro tentativi di cambiamento.

Durante gli incontri precedenti e nell’attuale le conduttrici hanno più volte sottolineato che non esistono “ricette” che magicamente inducano gli altri a reagire verso se stessi nel modo desiderato, l’obiettivo è fare del proprio meglio per provare a modificare alcune situazioni che recano disagio, cambiando il proprio comportamento se ciò è opportuno. Quali i vantaggi? Le conduttrici invitano a riflettere su alcuni punti:

       reazioni positive inaspettate negli altri

       sentirsi bene con se stessi per avere avuto la forza di provare a cambiare atteggiamento

       tutelarsi quando è necessario

       riconoscere di avere fatto del nostro meglio e che non è un problema nostro

       avere più informazioni per valutare il nostro interesse verso alcune persone

       ridurre la delusione inevitabile conservando una maggiore autostima

       ampliare il contesto: pensare che il mondo che è più grande del luogo in cui viviamo e se con alcune persone non va bene e non possiamo farci nulla dobbiamo guardare altrove.

 Il terzo scopo riguarda l’identificazione delle abilità sociali che permettono di fronteggiare meglio le situazioni stigmatizzanti.

All’inizio di tutti gli incontri di training viene fatta una discussione sull’utilità delle abilità trattate. Spesso alcuni pazienti riportano loro esperienze avvenute durante la settimana o affiorano ricordi rispetto a situazioni passate. Le conduttrici cercano di valorizzare non solo i risultati, quando ci sono, ma anche la capacità di riconoscere in alcune situazioni l’abilità da esercitare, ricordando l’esperienza del gruppo e alcune modalità utili d’interazione in quel frangente, anche se non vengono applicate.

Abilità 1 – salute e benessere

Collaborare con il medico rispetto alla terapia:

a.    Fare domande sui farmaci e su argomenti relativi alla propria salute.

b.    Segnalare gli effetti collaterali, condividere con il medico le scelte rispetto alla terapia farmacologica.

c.    Cosa fare se non si riesce a capire ciò che il medico sta dicendo.

Si è ritenuto utile affrontare questo tema nell’ottica di una riduzione dell’autopregiudizio tramite una partecipazione più attiva del paziente al proprio percorso terapeutico. Negli incontri precedenti si è discusso di sintomi della malattia, di effetti collaterali dei farmaci e di come purtroppo spesso ad essi sia legato il pregiudizio da parte delle persone. Tuttavia è possibile intervenire sia su alcuni sintomi, ad esempio una scarsa igiene personale o cura della persona, sia su alcuni effetti collaterali, ad esempio l’aumento di peso (alcuni suggerimenti pratici sono stati già forniti nella parte psicoeducativa). 

Durante l’incontro è emersa l’ambivalenza rispetto all’uso dei farmaci e la difficoltà a considerarli diversi dalle droghe per ciò che riguarda effetti sul cervello e dipendenza. Emergono la paura di non poterne più fare a meno, fantasie di danno sul cervello o degli effetti collaterali, il sentirsi diversi dagli altri. L’intervento è stato mosso non tanto per attenuare la percezione dell’eteropregiudizio, in quanto gli psicofarmaci nella società non godono della stessa considerazione degli altri farmaci, quanto piuttosto verso l’autopregiudizio, al fine di sostenere l’autostima dei pazienti, che possono rivalutare il loro utilizzo non come indicatore di diversità e debolezza ma come attiva, consapevole e responsabile compliance alla propria cura.    

Ottavo e nono incontro

Gli incontri sono centrati sull’acquisizione dell’Abilità 2 – “Strategie per uscire dall’isolamento sociale”

L’obiettivo della trattazione di questa abilità riguarda cosa i pazienti possono fare in prima persona per combattere l’isolamento sociale.

La prima tematica affrontata riguarda come allargare e migliorare i contatti sociali e le relazioni di sostegno. Alla luce dell’ipotesi di vulnerabilità allo stress esplicata nella fase psicoeducativa, si ritiene che il supporto sociale aumenti la capacità di sostenere i fattori e le situazioni stressanti.

Innanzitutto sono state poste ai partecipanti alcune domande al fine di renderli consapevoli circa le proprie preferenze verso attività e persone. Dai loro racconti è emersa la tendenza a rinunciare ai propri interessi per adeguarsi a quelli degli altri per evitare di rimanere soli.

Si analizzano i vantaggi dell’aumentare le relazioni sociali secondo i partecipanti.

In una seconda fase si aiutano i pazienti a trovare nuovi interessi e fare nuove conoscenze. La problematica che maggiormente pone delle difficoltà nei resoconti del gruppo riguarda l’opportunità o meno, nelle prime fasi della conoscenza, di rivelare aspetti importanti di sé: il fatto di soffrire di una malattia mentale, di trovarsi in una comunità terapeutica, di stare seguendo una cura farmacologica, il fatto di non avere un lavoro e così via.

Le conduttrici hanno esplorato le aspettative dei partecipanti circa le conseguenze positive o negative di tre tipi di posizione: fornire subito questi dati importanti di se stessi, utilizzare un atteggiamento più vago, dando informazioni più generiche e meno personali, non dire nulla di sé. Si sottolinea come la scelta debba essere maturata da ciascuno in base alle circostanze, alla motivazione personale verso l’interlocutore e alla consapevolezza di quelli che per ciascuno sono costi o benefici della soluzione adottata. I partecipanti sono stati invitati a differenziare fra situazioni nelle quali è più utile per loro dare maggiori informazioni e altre nelle quali è meglio tutelarsi fornendone meno.

Ciascuno ha valutato quale sia la propria modalità utilizzata più frequentemente nell’interazione con gli altri e ha potuto riflettere sull’opportunità o meno di considerare, in alcune circostanze, anche comportamenti diversi da quelli abituali. Lo scopo è di rendersi consapevoli di vantaggi e svantaggi delle tre alternative decisionali, non sol per fare un bilancio in termini quantitativi, ma considerando anche il valore ossia il peso che ogni caratteristica individuata ha per ciascun paziente. Ogni aspetto positivo o negativo considerato può avere una valenza più o meno alta a seconda dei propri bisogni e desideri e a seconda della persona che si ha di fronte. La consapevolezza dei propri obiettivi e desideri nella comunicazione con l’altro e del peso soggettivo di possibili vantaggi e svantaggi della alternative possibili, sono alla base di una scelta ponderata e non dettata dall’impulso e dall’urgenza del momento. 

1. Quando dico tutto aspetti positivi e negativi

Risposte Positivi

Risposte Negativi

-ricevere giudizi positivi, sentirsi accettati

-ricevere aiuto e comprensione

-suscitare curiosità intesa come sincero interesse verso se stessi

-sentirsi sinceri

-azione liberatoria, sfogarsi

-potrebbero giudicarci

-potrebbero non capirci

-essere investiti da domande, “potrebbero farci l’interrogatorio” (domande che richiedono un’autoapertura a cui non si è disposti)

 

2. Quando raccontiamo fatti generici aspetti positivi

Risposte Positivi

Risposte Negativi

-fanno domande (c’è interesse)

-desiderio di conoscerci meglio

-sentirsi compatiti

-non sentirsi a proprio agio

-sentirsi in colpa perché si nasconde qualcosa

-avere bisogno di sapere il parere dell’altro per avere delle conferme rispetto al suo giudizio

-apprensione, paura di non essere capiti bene

 

3. Quando non diciamo nulla aspetti positivi

Risposte Positivi

Risposte Negativi

– non essere giudicati

-essere presi in considerazione per quello che siamo

-sentirsi più tranquilli

-si evitano domande non gradite

-ci si sente in colpa verso se stessi (malattia come aspetto di cui ci si vergogna e rimprovero verso se stessi)

-essere rimproverati dall’altro perché non abbiamo detto tutto

Decimo incontro

L’incontro è sempre centrato sull’acquisizione dell’abilità 2 “Strategie per uscire dall’isolamento sociale”.

In questo incontro vengono proposti due role playing che riguardano l’interazione fra un paziente e un amico che viene rivisto dopo un periodo di lontananza. Vengono presentati due diversi atteggiamenti degli interlocutori nei confronti del paziente e due diverse modalità di interazione del soggetto protagonista. Tali sfumature sono oggetto della successiva discussione di gruppo. 

Si è dato spazio alla tematica della delusione rispetto alla possibile reazione degli altri ai loro tentativi di comunicazione. È stata fatta una generalizzazione rispetto all’occorrere di tale esperienza di delusione fra tutte le persone al fine di non indurre una sensibilizzazione al tema del pregiudizio. Si è quindi proposta una riflessione sulle motivazioni che possono portare le persone ad allontanarsi da loro, al fine di ampliare il loro range di ipotesi che si focalizzano su pensieri di “personalizzazione” rispetto agli eventi (come se l’andamento della relazione dipendesse solo da loro) con conseguenti vissuti di inferiorità e vergogna.

Si apre una discussione di gruppo rispetto al modo di ognuno di approcciarsi agli altri.

Ad esempio, Simona riferisce quanto sia importante per lei capire subito e senza margine di dubbio se l’altro la stia accettando o meno e per questo rivela subito aspetti molto personali di se stessa, in particolare la malattia e il luogo in cui vive, per testare l’altro. Questo viene fatto senza una scelta ponderata di chi ha di fronte, dei tempi più opportuni di auto-apertura e del contesto. Le conduttrici inducono Simona a considerare anche altri aspetti come ad esempio chiedersi se anche a lei piace la persona che ha di fronte, se la accetta, se ha caratteristiche compatibili con i suoi valori e interessi.

Vengono descritte le difficoltà di apertura verso la società esterna in quanto realtà non protetta, come possono essere ad esempio quella residenziale o il Centro diurno.

Non vengono presi in considerazione solo i possibili esiti di alcune interazioni sociali ma anche le personali letture fatte dai pazienti. Letture che risultano spesso parziali. Spesso l’attenzione viene principalmente orientata verso i  segnali di accettazione da parte dell’interlocutore, con conseguente defocalizzazione su altri aspetti che vengono trascurati.

Interventi rispetto alle possibili delusioni rispetto ai loro tentativi di avvicinamento agli altri:

§  Allo scopo di evitare una sensibilizzazione verso le conseguenze negative della malattia mentale le conduttrici hanno focalizzato l’attenzione del gruppo sull’opportunità di pensare a se stessi non solo come persone che hanno una “malattia mentale” ma persone nella loro complessità. Sono condivise e validate le grandi difficoltà legate alla malattia mentale, tuttavia ricordare anche altri aspetti di sé, positivi o negativi che siano, evita l’adesione all’etichetta diagnostica con tutte le conseguenze negative che questo comporta (adesione al ruolo di debole, malato, diverso, bassa autostima, scarso investimento nelle proprie risorse).

§  Decentramento: l’esito di una relazione non è determinato solo dal paziente e dalla sua storia ma dall’incontro di entrambi i soggetti dell’interazione.

§  Valorizzazione del diritti assertivi: non è necessario subire la relazione ma è possibile, si ha il diritto di decidere in prima persona quale indirizzo darle.

Tecniche individuate per far fronte alle interazioni sociali e sostenere l’autostima:

§  Viene suggerito un modo di parlare a se stessi più funzionale: viene stilato un elenco di frasi da ripetere a se stessi pensate dai partecipanti per sostenere la propria autostima nei momenti di delusione.

§  Si suggerisce di valutare la situazione, l’ambiente in cui ci si trova e quale interlocutore si ha davanti, di prendersi il tempo necessario per valutare le motivazioni personali verso la persona che si ha di fronte e di considerare il comportamento dell’interlocutore (cosa racconta di sé, atteggiamento di apertura o chiusura, interesse).

Undicesimo incontro

L’incontro è centrato sull’acquisizione dell’abilità 2 “Strategie per uscire dall’isolamento sociale” e in particolare su due punti:

a)      Come uscire dall’isolamento in modo propositivo

b)      Chiedere chiarimenti in modo assertivo.

Vengono proposti due nuovi role-playing. Il primo ha l’obiettivo di sperimentare modalità di comunicazione che aiutino ad uscire dall’isolamento in modo propositivo. Viene simulata un’interazione nella quale il paziente contatta un amico per tentare di riallacciare i rapporti. I pazienti esprimono opinioni sull’interazione, lo stato emotivo dei due interlocutori, le modalità e i tempi di autoapertura reciproca, le risposte ricevute. Il secondo role playing ha lo scopo di trovare modalità di comunicazione che un favoriscano il confronto con un interlocutore senza ricorrere allo scontro. La scena riguarda un chiarimento circa la lontananza mantenuta da un amico per un lungo periodo di tempo in seguito al ricovero del paziente. I partecipanti riferiscono che spesso la loro reazione più comune in queste situazioni sia quella di accusa dell’altro e come questo sia infruttuoso e li investa di forti emozioni di rabbia, delusione e tristezza.

Dodicesimo incontro

L’incontro è centrato sull’acquisizione dell’abilità 3: “Come affrontare situazioni di discriminazione”

Tema dell’incontro: Rispondere alle critiche senza utilizzare reazioni passive o viceversa aggressive.

 

           Cosa succede se riceviamo una critica?

Risposte:

-ci si sente a disagio

-ci si sente non capiti

-ci si sente diversi

-si può essere inconsapevoli che ci dicono cose sbagliate (ossia ci si fa sopraffare perché non si è consapevoli che le critiche sono ingiuste)

-ci si sente colpiti in un aspetto critico di se stessi

Viene illustrata ai partecipanti la differenza fra risposte assertive, passive e aggressive.

Si utilizzano dei role playing mostrando, in seguito ad una critica dell’interlocutore, le tre modalità di risposta. Le scene vengono analizzate con i pazienti. Viene evidenziato lo stato emotivo iniziale del protagonista che ha appena ricevuto una critica e che è lo stesso per le tre soluzioni. Vengono poi presentate le alternative e discussi i conseguenti comportamentali ed emotivi. Alla fine il role playing “assertivo” viene fatto ripetere a coppie ai partecipanti.

Le conduttrici hanno ricordato che l’altra persona, come tutti, ha il diritto di rimanere della propria opinione e che non c’è garanzia dell’esito desiderato. Tuttavia sono stati illustrati i vantaggi dell’approccio assertivo anche rispetto ad una possibile delusione. Qualunque sia l’esito dell’interazione, l’altro potrebbe non accogliere il suo punto di vista, il paziente avrà comunque a disposizione una serie di informazioni utili per decidere quale andamento dare al rapporto con quella persona. Rispetto ai vissuti emotivi di delusione nei quali possono intercorrere si fa riferimento alle risorse interne ed esterne di cui i pazienti possono disporre e all’utilità di ampliare quanto possibile il contesto di riferimento per avere una rete su cui poter contare.

Tredicesimo incontro

L’incontro è centrato sempre sull’acquisizione dell’abilità 3: “Come affrontare situazioni di discriminazione”

Il Training delle abilità sociali si incentra sulle capacità:

a. Imparare a dire no.

b. Allontanarsi da situazioni stressanti.

c. Esprimere sentimenti spiacevoli in una situazione di pregiudizio.

Le conduttrici illustrano ai partecipanti i vari ambiti in cui possono verificarsi episodi di discriminazione, avendo cura in particolare di fornire esempi concreti che possono accadere più frequentemente nella vita quotidiana dei pazienti.

Si apre una ampia discussione nella quale emergono numerose esperienze personali nelle quali i pazienti si sono sentiti oggetto di pregiudizio e discriminazione.

Ad esempio Daria racconta un episodio domestico di scontro con la madre e la sua reazione di ritiro passivo di fronte ad una critica posta in modo aggressivo.

A                                                                                     B                                                                           C

Critica della madre

Durante un pranzo la                                  Non dovrebbe trattarmi così                           rabbia impotente

madre dice a D. con tono                           Poteva dirmi in modo educato                        tristezza, delusione

di rimprovero “guarda come                     di chiudere la bocca                                          diventa silenziosa

mangi”                                                           Non mi rispetta                                                   e cupa

Daria dice di non reagire in questi casi e di subire queste critiche in quanto ritiene inutile un confronto con la madre, temendo di peggiorare le cose, “lei è come un muro, non ha fatto un percorso come me”.

Daria alterna modalità passive di reazione e modalità aggressive. In entrambi i casi le emozioni provate sono di carattere negativo. Proviamo a immaginare gli esiti di un approccio “assertivo”:

a- la madre potrebbe inizialmente essere “spiazzata” da questo nuovo atteggiamento e questo potrebbe bloccare il conflitto in atto per un po’ di tempo, lasciando spazio a un successivo chiarimento.

b- la madre potrebbe essere piacevolmente sorpresa dal nuovo atteggiamento ed essere interessata ad un chiarimento immediato.

c- la madre non cambia atteggiamento ma Daria, avendo potuto esprimere come si sente e dato un suggerimento per migliorare la comunicazione fra loro, prova emozioni spiacevoli ma più tollerabili.

Daria fatica a riconoscere le emozioni che conseguono al suo atteggiamento passivo, negando che questo le procuri sentimenti negativi “lo faccio per quieto vivere”, salvo poi ammettere di avere scatti di rabbia improvvisi con la madre.

Imparare a dire no

Viene proposta una simulata nella quale il paziente può osservare un’interazione fra un paziente e un familiare che cerca di imporgli una decisione senza considerare il suo punto di vista.

Tecniche suggerite: riformulazione della richiesta in segno di ascolto, rifiuto con tono calmo e fermo, tecnica del disco rotto di fronte alle insistenze.

Discussione di gruppo sulle modalità comunicative usate dal paziente del role-playing e loro utilità sull’andamento dell’interazione.

Allontanarsi da situazioni stressanti

Viene sollecitata una discussione insieme alle conduttrici circa le circostanze in cui è meglio allontanarsi da situazioni stressanti, in cui non è possibile un confronto.

Esprimere sentimenti spiacevoli in una situazione di pregiudizio

È stato predisposto un role playing di un’interazione fra il paziente e un interlocutore che manifesta velatamente il pregiudizio che egli non sia in grado di svolgere un compito. Riteniamo utile considerare anche questo aspetto, che a volte inconsapevolmente può riguardare i familiari, i datori di lavoro oppure i membri stessi dell’équipe curante, che possono per praticità o distrazione sottovalutare il grado di competenza e autonomia del paziente. In queste situazioni il paziente rischia di aderire all’immagine di sé come persona “debole, incapace”, con vissuti di vergogna e risposte passive di accondiscendenza oppure viceversa reazioni aggressive che possono essere fraintese dall’interlocutore.

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Mariangela Lanfredi

Ricercatrice IRCCS S. Giovanni di Dio-FBF (Brescia)

Specializzata: Apc Verona, Training A. Ivaldi e C. Perdighe

e-mail: m_lan@libero.it